Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 109 — |
passo a passo nella loro vita partendo dalla culla; non tenne conto delle loro virtù, dei loro vizi, dei loro errori, dei loro debiti presso gii Ebrei e Cristiani, d’ogni altro loro più minuto affare. Due pagine bastano allo vita oscura di Orazio, di Virgilio, di Ovidio; della morte di Eschilo, di Euripide, non rimane che tradizione favolosa; l’arguto Terenzio scomparve tranquillamente in qualche angolo dell’Ellade, presso la palude Stimfalica. Di Giovenale unicamente da un suo verso, apprendiamo esser egli nato in Acquino. Venne desso esiliato in Egitto od in Iscozia? Dove cessò di vivere? Nessuno lo sa. La sua lunga vita fu a vicenda rattristata, od allietata dai regni di Claudio. Nerone, Galba, Ottone, Vitellio, Vespasiano, Tito, Domiziano, Nerva, Traiano, ed Adriano; fu spettatore dei più grandi contrasti; vide sul trono, che dettava leggi a tutto il mondo, una serie di demoni feroci, ed una di principi buoni; vide tempi miserrimi, e tempi felicissimi.
E facile quindi imaginarsi quali idee abbia dovuto formarsi della vita, quali sensazioni abbia dovuto provare un uomo di mente e di cuore, il quale all’aspetto truce di un Nerone, potè controporre la fisonomia serena di un Tito.
Se desso non avesse vista quella doppia serie di imperatori. se a vece di essere nato sotto Claudio, fosse nato ai tempi di Tito, probabilmente non possederessimo le satire di Giovenale; se non che le impressioni della gioventù diedero la direzione allo spirito di lui, ed in sostanza poi la società romana ai tempi di Tito era tuttora la stessa di quella dei tempi di Nerone. Povero Giovenale, condannato ad essere il poeta della sua età, all’epoca in cui l’umanità si andava corrompendo sotto l’azione del dispotismo! La sua lingua, la sua narrazione già oscura, difficile, serrate come quelle di Tacito sotto il peso della atmosfera romana, sotto la stretta della sua amarezza, dovettero esercitarsi sopra argomenti ai quali non sarebbero stati adatti nè il marmo nè l’argilla, ma unicamente il fango. Chi può leggere senza ribrezzo le sue due satire