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di dove pare sia sorta l’età del ferro come ha cantato il poeta, si dovrebbe innalzare un monumento a Napoleone, interamente di ferro; un colosso dell’Elba, e sul piedestallo si dovrebbe incidere l’ordine di Porsenna re degli Etruschi, «che quindinnanzi il ferro non debba servire più ad altro che agli usi dell’agricoltura, e delle industrie.»
Questo bel detto, il più umano della ferrea Roma, mi richiama alla memoria un fatto analogo, un’altra condizione di pace dell’antichità greca. Allorquando Gelone di Siracusa dettò la pace ai Cartaginesi dopo la battaglia di Imera, pose per condizione: dovessero cessare dal sacrificare vittime umane al Moloch. Ed anche l’ordine che i popoli avessero a cessare di offrire vittime al Moloch della guerra, dovrebbe essere scolpito sul piedestallo del colosso progettato per l’isola d’Elba.
Non saprei però se sia per sorgere quest’era pacifica, e se l’olivo di Elihu Burritt sia per mettere radici, imperocchè i popoli non mi paiono diventati guari più morali, nè più savi da quanto fossero ai tempi di Porsenna e di Gelone di Siracusa. Le nazioni continuano oggi come per il passato a sacrificare vittime al Moloch politico e religioso dell’onore, ed a lasciare spegnere dal ferro il fiore delle loro generazioni, quasi la umanità possedesse come l’idra cento teste, e fosse capace centuplicarsi di continuo.
Prendiamo intanto congedo dall’isola del ferro, e se non con una accusa alla umanità, almeno con un sorriso ironico sui lodatori entusiasti dell’era nostra, col grido almeno di Porsenna. «Non più spade, non più lancie, non più sacrifici umani a qualsiasi Moloch.»