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Su questo suolo classico, ricorrono facilmente alla memoria le tradizioni mitiche, intorno alla fondazione di Cori. Narrano queste, che il Troiano Dardano figliuolo di Corito re d’Italia e di Elettra figliuola di Atlante, abbia fondata questa città; che quindi, uccisore di suo fratello, fuggendo dalla presenza di Siculo e di suo padre, siasi ricoverato in Asia dove abbia fondata Dardania, la quale dal suo nipote Troilo prese il nome di Troia, e questa tradizione pare accettabile quando dalla Dardania Cori si getta lo sguardo sui campi dove fu Laurento, e dove Enea fondò Lavina, e la novella Troia.
Trovasi menzionata Cori nel libro settimo dell’Eneide.
- Tum gemini fratres, Tiburtia mœnia linquunt
- Fratris Tiburti dictam cognomine gentem,
- Catillusque acerque Coras, Argiva inventus.
I tre fratelli Catillo, Cora, e Triburto, furono figliuoli di Anfiarao di Argo; venuti di Grecia in Italia, fondarono Tiburi, o Tivoli. E vuolsi che Cora abbia redificata Cori, e sarebbe questa la seconda origine favolosa della città.
Dessa si presenta ora ai nostri occhi in forma di una piramide di case, eretta in cima ad un monte, sulla sommità del quale stanno le rovine graziose di un tempio di Ercole di stile dorico, mentre al piede del monte giacciono giardini ricchi di frutta, di fiori; vigneti, oliveti. La città attuale conta all’incirca cinque mila abitanti, e va altiera di non aver appartenuto mai a verun principe o barone, ma di essere stata sempre, fin dal medio evo, feudo del senato e popolo romano.
Non voglio stancare la pazienza del lettore che deve oramai essere sazio di rovine, descrivendogli ancora quelle di Cori. Meritano però uno sguardo le antichissime mura ciclopiche o pelasgiche, le quali sono tuttora visibili in vari punti della città, e che si paragonano elle mura di Micene, o di Tirinto. Sostengono ancora l’antica acropoli che corona la città, e quando uno si è arrampicato, non senza disagio, su quell’altura, prova gradevole sorpresa