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vi è tranquillo, grandioso, di una bellezza imponente, seria, ed a chi la sa comprendere, deve produrre la sensazione che proverebbe davanti ad una statua di Giunone di scalpello greco.
Nel salire sempre più alto sui monti Volsci, nel contemplare sotto di sè quella stupenda regione, quasi quasi si viene ad invidiare la sorte di quelle acquile, le quale sono qui i veri Conti di Campagna, che spaziano a loro piacimento sopra quella stupenda contrada. Col loro volo grandioso e solenne, sono in piena armonia colla natura del paesaggio che valgono ad animare, senza punto turbarne la tranquillità maestosa.
Non si scorge Segni, se non quando vi si è quasi arrivati, imperocchè la strada corre sempre tortuosa per entro una gola di roccie calcari, di tinta rosea. Le pareti dei monti sono formati di massi staccati, i quali si accavallano gli uni sopra gli altri, in guisa che in certi tratti si direbbero mura edificate da giganti. Mentre stavo contemplando questa formazione geologica, che più o meno s’incontra in tutte le montagne del Lazio, compresi che la natura era quella la quale aveva dato agli uomini l’idea delle costruzioni ciclopiche, imperocchè quelle formazioni geologiche sono vere mura ciclopiche, di mole ancora più imponenti, e gli uomini non ebbero d’uopo che d’imitare l’opera prodotta dalle rivoluzioni del globo. In nessun’altra natura di monti la cosa sarebbe stata di tanta evidenza, quanto in queste roccie calcari.
Splendeva in tutto l’ardore del mezzodì il sole, quando arrivai a Segni. Questa antica città dei Volsci giace sull’altipiano di una collina, circondata tuttora in buona parte da mura ciclopiche. A prima vista le sue case nere, che sorgono le une sopra le altre a foggia di scaglioni, interrotte quà e là da alcune torri di carattere insignificante, fanno impressione piuttosto singolare che piacevole. Non havvi una cattedrale, non un antico castello, li quali traggano a sè lo sguardo; unicamente case noiosamente uniformi, senza verun carattere architettonico, ed io che aveva