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moli, e meno ancora a disporle le une sopra le altre in guisa, da non lasciare il menomo interstizio, per modo che il tutto riuscisse a formare quasi un mosaico gigantesco, lavorato con singolarissima precisione.

II.

La tradizione attribuisce queste opere ai tempi di Saturno, andando al di là del periodo di civiltà che l’erudizione attribuisce agli Indo-germani ed ai Pelasgi, riducendosi in sostanza ad ammettere che non si sanno quali popoli abbiano eseguite tali costruzioni. Basta però vederle per persuadersi che furono opera di popoli già inoltrati grandemente nelle vie della civiltà, ed inoltre trovandosi queste città ciclopiche vicine le une alle altre, e sparse su tutta quanta la superficie del Lazio, è facile argomentare che esistette in tempi antichissimi in questa regione buon numero di tali republiche, o tribù, o comunità, di cui non conosciamo le relazioni delle une colle altre. Ed inoltre la costruzione di tali fortezze spiega come quelle città dovessero trovarsi di continuo in guerra fra di loro, esposte a continue sorprese e scorrerie, e come mal secure dovessero essare fra loro le condizioni della vita. Che ove si volesse che alla natura colossale delle opere corrispondessero le forze fisiche degli uomini, allora sarebbe forza ammettere che quelli i quali le innalzarono, od erano destinati ad attaccarle, a difenderle, dovessero essere vera razza di giganti; se non che questi edifici risalgono tutti al periodo del lavoro colossale, inizio della civiltà di tutti i popoli, ed in tutte le regioni, al quale poco alla volta succede il gusto del puro e del bello, ottenuto con minore spreco di forze. E sovratutto non converebbe far risalire questi lavori ciclopici a tempi troppo remoti, a tempi favolosi; forse furono eseguiti quando Roma era già fondata, ed il passaggio da queste costruzioni a quelle poco meno colossali con pietre lavorate e regolari degli Etruschi