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Il punto migliore per osservare la valle superiore dell’Anio, contrada di meravigliosa bellezza, si è la sommità del monte Serrone, il quale divide la valle dell’Anio, da quella ampia latina del Sacco. Stupendi monti circoscrivono quel tratto del territorio, a guisa di anfiteatro; i paesi posseduti dall’abbazia, ad eccezione di Subiaco il quale giace al basso, sorgono bruni e neri in cima ai monti, costrutti di tufo calcare. La lora foggia bizzarra di costruzione, la loro solitudine in quella regione romantica, il modo di vestire, la lingua gli usi, i costumi degli abitanti, producono una profonda impressione. Se non chè la miseria di quei poveri montanari è spaventosa; il loro nutrimento limitato a poca quantità di cattivo gran turco, è meno sicuro di quello degli animali dei campi, a cui provvede largamente la natura. Non ho vista miseria uguale in veruna altra parte d’Italia, e nell’entrare nelle casuccie di rozza pietra di quei coloni, nel vederli vangare la terra al canto dei loro malinconici ritornelli, nello scorgerli ad arrampicarsi su per quelle rupi, carichi quasi animali da soma, non è possibile non sentirsi stringere il cuore. Nei cenci che li ricoprono, sulle loro fisonomie pallide e scarne per la febbre si legge la storia dolorosa del feudalismo dei monaci e dei baroni, molto più chiaramente di quanto la si possa raccappezzare da magre cronache.
III.
Più gradita al lettore che la storia politica del monastero, sarà una breve descrizione delle sue rarità, la quale lo distrarrà dalla contemplazione della miseria del popolo, e darà corso diverso a suoi pensieri. Imperocchè mentre i vassalli sudavano sui campi, e pativano la fame, i monaci ben pasciuti nel loro convento si compiacevano ad ornare questo di pregevoli opere d’arte, le quali rimangono monumenti dei tempi antichi, ed a quelli ci riportano.