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si può dire l’inventore della grammatica, e della logica della diplomazia. Desso non prometteva, non giurava, non mentiva, imperocchè era una menzogna continua. Quanto non compaiono grossolani a fronte di questo despota finissimo, signore classico della storia nuova, quegli avventurieri venuti in possesso di un trono, quei re i quali rompono pubblicamente i loro giuramenti. Tiberio li avrebbe cacciati con un sorriso di disprezzo fra suoi liberti. Quest’uomo non lasciò mai presentire una volta sola che cosa volesse fare; il contrario era pure sempre possibile. Desso non governò punto col mezzo ruvido dei colpi di stato, padroneggiò sempre gli avvenimenti. Non lasciò mai trapelare nè la sua volontà, nè i suoi disegni. Basti ricordare il suo capo d’opera di governo, la caduta di Seiano.

Il proscritto dell’isola d’Elba, prese una volta a difendere calorosamente il carattere di Tiberio contro le accuse di Tacito, e della storia. Dopo di avere ridotta la diplomazia di Augusto a sistema del gesuitismo il più raffinato; Tiberio, compita la sua opera, e sazio della vita, si ritirò in quest’isola, per distrarvisi con i piaceri materiali. Non lasciò venir meno il terrore, che aveva eretto a principio di governo. Provò i piaceri di ogni sorta, ma l’umana natura è costituita per modo, che non può godere in una volta che poca parte di piaceri. Ce lo insegnano questo scoglio di Capri, e questa villa di Giove, nella quale erasi ritirato il signore del mondo, e che non considerava questi altrimenti che una specie di esilio. Fa orrore il pensare alle scene di cui furono testimoni queste mura, agli accessi di rabbia di un animo il quale non conosceva più freno di sorta. In queste mura le quali risuonavano un dì delle armonie dei flauti della Lidia, dei sorrisi delle più belle donne, mugghiano ora le mandre di poveri contadini; a tanto vennero ridotte le sale di Tiberio; l’edera, i fichi moreschi, le malve, le rose, le cinerarie, il melagrano, riempiono oggidì della loro vegetazione lussureggiante queste stanze rovinate; vi pendono i festoni delle viti, discendenti dell’antico Bacco di Capri, quasi fossero gli spirti