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fra le quali due colonne di cipollino, due di Porta Santa, uno stupendo capitello corinzio, che si trova oggi nel Museo di Napoli, due magnifici mosaici, che vennero in possesso l’uno di un Inglese, l’altro della contessa Woronzow, e finalmente un bello altare di Cibele, che il cavaliere Hamilton seppe procurare al museo britanico. Oggidì il palazzo presenta l’aspetto di una distruzione completa. Gran parte delle mura rovinarono in mare, altre giacciono disperse sul pendio dell’altura che scende alla spiaggia, però si possono scorgere ancora le traccie di un certo numero di sale, ed un numero di forma semicircolare, avanzo forse del tempio della divinità a cui era dedicata la villa, e sorge tuttora fra tutte quelle rovine l’avanzo di un fusto di colonna, di granito rosso orientale.

Più scarsi ancora sono gli avanzi della villa che sorgeva un dì sulla bella collina di Castello, la quale sta a cavaliere della città verso mezzogiorno. Dal lato del mare la rupe sorge tagliata a picco, ed a metà si apre l’adito ad una grotta. Verso terra stanno vigne, e sulla sommità, torreggia in istato tuttora di buona conservazione il castello di Capri, piccola fortezza con mura merlate e torri, la quale dà all’isola un’impronta di medio evo. Hadrava praticò scavi in quella località nel 1786 e vi scoprì buon numero di sale, e di bagni già devastati, vi trovò ancora pavimenti, statue, un bel vaso di marmo bianco, un basso rilievo rappresentante Tiberio nell’atto di offerire un sagrificio, un cameo col ritratto di Germanico, non che busti in marmo, ed in istucco. Ed anche tutti questi oggetti vennero dispersi regalandoli parte ad Hamilton, al pittore Tischbein, al principe Schwarzenberg, parte a Russi, ed Inglesi ignoti. Nel 1791, gli scavi furono di bel nuovo ricolmi di terra. Se non che tutte le rarità antiche scompaiono a fronte della vista stupenda, che si gode dalla collina di Castello, sul mare di Sicilia, sul golfo azzurro di Napoli, sulla rupe maestosa di Ana-Capri. Scorgesi pure di là la rupe tagliata a picco del lato di mezzodì, non che i tre picchi che si slanciano verso il cielo, a foggia di obelischi granitici, denominati i Faraglioni.