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e quasi uno non si accorgerebbe siano privi della vista. Nella festa di S. Anna vidi una schiera di essi i quali aprivano la processione; entrarono in buon ordine nella chiesa, ed al vederli mi sovvenne il versetto biblico.
«Beati coloro i quali non vedono, però credono.» Alla sera assistettero al fuoco d’artificio, godendo in mancanza di meglio, lo scoppio delle bombe e dei razzi. Quale disgrazia l’essere ciechi in Capri, dove la natura spiega tutte le sue bellezze con tutta la magica varietà, e splendore delle sue tinte! L’aggirarsi in questa contrada senza il beneficio della vista, la è un’amara ironia. Questi poveri ciechi si muovono però molto, e volontieri; hanno una loro passeggiata favorita, l’unica che sia alquanto piana, la bella strada nella valle Tragara, in mezzo agli olivi. Stanno pure volontieri seduti sui banchi di pietra sotto la porta della città, spiando i passi delle persone che entrano od escono, ed anche al di fuori della porta stessa, dove si gode la stupenda vista, da una parte del golfo di Napoli, del Vesuvio, e dall’altra delle ripidi pendici del monte Solaro, e della triplice sua vetta. Nel calore della giornata questi rupi splendono di una tinta incomparabile, ed a lume di luna, si perdono in una luce propriamente magica.
Si dilettano pure quei poveri ciechi di musica, ed ogni sera danno un piccolo concerto. Prendono posto a quell’ora due invalidi sul terrazzo del quartiere, l’uno suona la ghitarra, l’altro l’accompagna col fischio. La è propriamente musica singolare, la quale risuona in modo tutto particolare nel silenzio della notte, accompagnate di frequente dalle voci di un’aria melanconica. Suonano pure talvolta i due invalidi, al mattino sulla piazza radunando attorno a sè tutti i loro compagni, quelli che vedono e quelli che non ci vedono; quelli che possono camminare e gli storpi i quali non si muovono che a stento. Per tal guisa in quest’isola innocente, la fisica infermità del pari che la povertà, assume aspetto lieto, e compare rassegnata alla sua sorte.