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La tessitrice mi pregò di spiegarle che cosa volessero significare quelle parole in lingua ignota, dicendomi averle scritte un inglese, il quale era stato colà. Le risposi che volevano dire «ragazza, di giorno sei il mio fiore, di notte la mia stella.» Dessa sorrise soavemente, e rimase soddisfatta.
Avevo osservato già parecchie volte con piacere nelle montagne d’Italia l’ingenuità del popolo, ma non avevo rinvenuto ancora un popolo ingenuo quanto questo. L’essere segregato dal mondo, ha mantenuta la dolcezza dei suoi costumi, la naturalezza attraente de’ suoi modi. Il forastiero vi è ricevuto quale un’antica conoscenza, e vi si trova come a casa sua, e per verità non si può trovare un maggior contrasto, che quello della popolazione di Capri e di Napoli.
Le donne di Capri non sono tanto belle, quanto piacevoli e graziose. I loro tratti hanno sovente un non so che di originale. Le linee del loro viso, sormontato da una fronte piccola, sono regolari; il loro profilo spesso distinto; i loro occhi sono di un nero ardente, o di un grigio verdognolo; il colorito bruno, la foggia della acconciatura del capo, i coralli e gli orecchini d’oro che portano costantemente, loro danno un aspetto orientale. Vidi soventi, particolarmente nell’appartato Ana-Capri, fisonomie di vera e rara bellezza; e nell’osservarle coi capelli scarmigliati, coi loro occhi nerissimi, grandi, che parevano lanciare fiamme, sorgere nelle camere oscure dai loro telai, e venir fuori, mi pareva veder comparire una Danaide. Per contro, in Capri s’incontrano di frequente figure che si direbbero staccate da una tela del Perugino, o del Pinturicchio, e che sono di una soavità incomparabile. Le donne portano, particolarmente in Ana-Capri, i cappelli disposti con gusto artistico nella sua semplicità, scendenti al basso, e trattenuti da uno spillo d’argento. Talvolta fissano il mucadore alla testa con una catenella, ed allora hanno propriamente l’aspetto di donne di paesi remoti. Pregio generale però delle donne di Capri, più prezioso dell’oro,