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colgono i ragazzi dei pescatori, e le giovanette, le quali tessono piccole ceste di paglia, le riempono di pezzetti di corallo, di frutti di mare, di conchiglie, e quando v’incontrano sulla spiaggia, vi presentano le loro cestelline, con un sorriso così grazioso, che è pure forza il fare un qualche acquisto. Tutto qui è grazioso, piacevole, in miniatura; e reca diletto l’osservare le ragazze nelle loro piccole case, occupate a dipannare le matasse di seta color d’oro, od a tessere nastri di variopinti colori. L’industria delle donne, sia di Capri che di Ana-Capri, consiste nella coltivazione di poca quantità di seta, e particolarmente nella tessitura dei nastri. I telai sono continuamente in moto. Il cotone e la seta vengono forniti dai mercanti di Napoli, i quali retribuiscono magramente l’opera di quelle assidue lavoratrici. Desse tessono nastri di ogni colore, ed il vederle intente a quel tranquillo lavoro omerico, nelle loro camerette, o sui terrazzi in mezzo ai fiori, alla vista del mare, produce uno spettacolo graziosissimo, e si scambiano volontieri alcune parole con quelle piccole Circe, dalla chioma corvina.
Sorge in Capri sopra una collina una casuccia solitaria, occupata da quattro ragazze snelle intente continuamente a filare seta, non che ad intrecciare paglia, per la formazione di cappelli. Quelle quattro ragazze sono il fiore del mondo femminile di Capri, e la loro stanzuccia il punto di ritrovo più frequente dell’isola. Vi si recano pure talvolta i forastieri. Gli artisti hanno dato il nome di Dee a quelle giovani, perchè loro si offrono di continuo sagrifici; ed il mio albergatore le chiamava le quattro stagioni. Un giorno che io mi ero recato colà, il mio occhio cadde sopra un foglio, che una delle sorelle aveva appeso accuratamente al suo telaio. Rappresentava un ramo d’edera, e sotto vi stava scritto il primo verso dell’Edipo Tiranno di Sofocle
«Α τεκνα Καδμου, του παλαι νεο τροφη»
(O ragazzi, giovane progenie del vecchio Cadmo).