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Europa, assuefatto a disporre a suo talento delle corone, potesse ridursi tutto ad un tratto alla parte di un militare in ritiro il quale pianta cavoli, ed alleva uccelli in un’isoletta poetica, tenendo pochi granatieri quasi passatempo, e dilettandosi di andare a caccia alla domenica con i suoi vicini? Si pensava per avventura a Diocleziano, a Tiberio, a Carlo V? Dominatori stanchi possono deporre una corona dopo averla trovata pesante, dopo averla portata a sazietà, ma nessuna corona per quanto sia pesante parve mai grave di soverchio, al soldato di ventura che riuscì a cingerne il suo capo. Questi non può cessare dal dominare, fintantochè la sorte non lo atterri. La fu propriamente strana aberrazione quella di avere mandato il leone côrso in questa isola, in aperto mare, fra la Francia e l’Italia, nel preciso centro delle ambite signorie.
Havvi del resto un non so che di fatale nella scelta di questo luogo, a terra d’esilio dì Napoleone. Il fato che atterra i grandi uomini è per lo più sempre di una tragica ironia. Suole prima abbattere la sua vittima per annientarla, allorquando tenta una seconda volta la fortuna. Napoleone nel salire in cima all’alto e rapido monte di Marciana, poteva di là scorgere la Corsica; contemplare le sue città, le sue foreste, i suoi monti, e mille luoghi, i quali gli rammentavano la sua gioventù. Doveva pure riuscirgli dolorosa una tal vista! Trovavasi di fronte a quella terra, di dove era partito giovane, ignoto figliuolo della fortuna, anelando a gloria, a grandi gesta. Ciò gli doveva riuscire incomportabile. Eragli forza tentare di rompere il cerchio magico; ma l’ironia della sorte non era stanca, imperocchè non gli risparmiò di dovere ricomparire ancora una volta dall’Elba in Francia, in quell’aspetto di avventuriere nel quale dalla Corsica aveva fatto il suo ingresso nel mondo.
Allorquando i marescialli Macdonald e Ney, annunciarono a Napoleone a Fontainebleau che poteva scegliere fra la Sovranità dell’Elba o di altra località, forse della Corsica, l’imperatore disse vivamente «No, no, non voglio aver
F. Gregorovius. Ricordi d’Italia. Vol. I. | 2 |