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parve in essa, quasi debole canna schiantata dall’impeto della bufera.
Napoleone a S. Elena è tutt’altro uomo. Colà ispira la profonda compassione dell’eroe di un gran dramma, imperocchè lo si vede morire coll’animo riconciliato e purificato dal dolore.
Caso strano! Trovasi in questo mare Tirreno ancora un’altra isola, alla quale la presenza di un altro imperatore che l’aveva scelta a luogo di ritiro, assicura un nome il quale non morrà nella storia. È questa Capri, il romitaggio del terribile Tiberio. Capri e l’Elba; Napoleone e Tiberio sono i due contrasti del dispotismo; in questa un imperatore trasferito a forza, il quale non si rassegna a quietare, arde della brama di occupare tuttora la storia di sè, non sazio mai di dominazione, di egoismo; in quella un altro imperatore, signore di tutto quanto il mondo che pende da un suo cenno, il quale con un sorriso per metà beffardo, per metà spaventoso, si confina spontaneamente sul più ristretto scoglio del suo impero, per vivervi la vita di un eremita.
Per dir vero fu una grande ingenuità quella delle potenze nel 1814, allorquando assegnarono per soggiorno a Napoleone l’isola d’Elba. Si sarebbe tentati di qualificare quell’innocente pensiero dei più grandi politici d’Europa, di aberrazione romantico-poetica. L’unica spiegazione per lo meno che io non ne abbia saputa trovare, mi sorse nella mente tutto ad un tratto, quando visitai le miniere di ferro di Rio, che allora mi dissi, aver avuto l’alta diplomazia del 1814 un pensiero grandemente poetico, nel confinare in questa isola del ferro, Napoleone, l’eroe di cento battaglie. Dalle viscere inesauribili di questi monti, trassero da oltre venti secoli i popoli il ferro per le loro armi, e Roma alla quale Porsenna, re di quegli Etruschi che coltivarono per i primi le miniere d’Elba, aveva imposto per condizione di non dovere adoperare più il ferro che nei lavori della agricoltura, formò col ferro di quest’isola, le spade le quali conquistarono il mondo.
Era possibile mai imaginarsi che il dominatore di mezza