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La piazza Montanara, la quale più propriamente si dovrebbe chiamare strada, posta a piedi della rocca Tarpea, fra questa ed il Tevere, è punto abituale di riunione per il popolo di Roma, particolarmente per le classi inferiori, e per gli abitanti della campagna, i quali vengono in città. Tutto vi respira miseria e sporcizia; dalla natura delle merci esposte sui banchi, si scorge che ivi i contratti si fanno a quattrini. Chi sarà difatti che farà compra di quei mozziconi di sigari, che i monelli raccolgono per le strade, e che si scorgono esposti in vendita in ceste di vimini? Li comprerà per la sua pipa o per la sua scattola il povero, o l’operaio di campagna. Non manca colà pure lo scrivano publico, seduto al suo tavolo, sull’angolo di una casa, con carta, penne, ed un enorme calamaio, pronto a scrivere con uguale facilità lettere amorose, lettere di ricatto, contratti, ricorsi, e suppliche. Il teatro dei fantocci ha trovato in quella strada sede adatta; lo frequentano monelli di strada, mendicanti, operai, giornalieri, i quali hanno diritto di rallegrarsi, di ricrearsi alla sera, colle favole di messer Ludovico.

Avviciniamoci alla porta tuttora socchiusa dei Saponari, dove regna tuttora oscurità, e di dove sorge un chiasso, un rumore di giovani che si contrastano, si pestano, si affollano davanti alla bottega dove si vendono i biglietti, alla scala che porta al teatro. Siamo tuttora di carnovale; il pubblico sarà numeroso. La casa vecchia, sucida, sorge in un piccolo vicolo chiuso, malamente illuminato da una lampada, quando non splende la luna. Trovasi al disotto una stanzaccia, specie di antro, dove si vendono i biglietti. I posti sono di tre specie; si pagano un baiocco per la platea, e due baiocchi per il paradiso, ed il palchettone. Noi che siamo ricchi prendiamo i primi posti, abbiamo in mano il nostro biglietto, e possiamo entrare. Se non che la non è questa impresa di poco momento. La scala ristretta, è tutta occupata da spettatori avidi d’entrare, e particolarmente di monelli, ognuno dei quali vuol arrivare il primo; tutti si spingono, e fanno un chiasso infernale. Cento