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su due fila, e vi cantarono i salmi penitenziali. La luce vacillante delle fiaccole, il fumo dell’incenso che saliva in alto, parevano dar vita e moto agli scheletri; si sarebbe detto che tutte quelle ossa intuonassero desse pure l’In te Domine speravi, od il Beati quorum tecta sunt peccata. Non so se cantassero questo od altro; ma l’anima di gia oppressa rimaneva propriamente atterrita. Vidi alcune donne vestite a bruno le quali piangevano,

e bramoso ardentemente di aria, di luce, di vita, fuggii, da quel purgatorio,

Ed ora siate benedette care e lucide stelle! voi durate tranquille, immutabili, nelle notti limpide di questo del cielo di Roma, gettando la vostra luce sulle deserte catacombe della storia, quasi le uniche divinità, che qui abbiano continuato a sussistere! Di quanti mutamenti non foste voi spettatrici in queste strade! Vedeste i sacerdoti d’Iside, di Mehtta, i coribanti e le processioni di Adone, i cori di Mitra, Ebrei, Cristiani, che si recavano alle loro feste nelle catacombe, od arsi vivi, nei giardini di Nerone, dove ora S. Pietro estolle al cielo la mole della sua cupola! Vidi nella oscurità della notte, per la strada deserta, una luce solitaria la quale si avanzava a mia volta. Aspettai per vedere che cosa fosse. Era un ragazzino di quattro anni circa, bello biondo ricciuto, che veniva avanti, tenendo in mano una piccola candela di cera accesa. Si avvicinò, contemplando tutto lieto la fiamma della sua fiaccola, ad un palazzo davanti al quale stava un mucchio di ricci di legno, e vi appiccò il fuoco. Poscia si diede a saltare attorno a questo, sempre colla sua fiaccola, spingendo gli uni contro gli altri i ricci, perchè tutti ardessero. Era propriamente un bel quadro notturno. Un forastiero venne, ed offrì al ragazzo un baiocco, ma questi lo lasciò cadere, dicendo ripetutamente «no, no, la candela è mia, non vi voglio dare la mia candela.» Non poteva capire che gli si vo-