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letto, colla loro foggia di vestire, mi ricordavano quelle scene di pesca alle quali era stato presente le tante volte, sulle spiaggie del napoletano. Sono scene le quali furono descritte e dipinte a sazietà, ma in natura, sulle sponde del mare, sono pur sempre belle. Le loro barche, venti all’incirca stavano a pochi passi dalla mia finestra; ognuna porta cinque uomini almeno, ed è governata da un padrone.

I pescatori di regola escono in mare alla sera verso l’Ave Maria, e stanno fuori tutta la notte. Il pesce viene allogato al mattino in ceste ricoperte di paglia, ed alla sera è numerato, registrato, ed imballato per essere spedito nella notte con carri a Roma. Alla sera pertanto si gode di una scena animatissima. Uno scrivano seduto ad un tavolo con una lanterna, registra la merce; i pescatori gli stanno all’intorno, occupati gli uni a trarre fuori il pesce dalle ceste, altri a frantumare ghiaccio, altri ad allogare il pesce su questo ghiaccio. La varietà e le forme di questi pesci di mare sono propriamente sorprendenti. Vi si scorgono il lungo grombo, il grosso e magnifico palombo, la murena variopinta, la sogliola colle sue pinne pungenti, le triglie, e le sardelli scintillanti, in grande quantità; il merluzzo col suo odore acuto. Si prendono pure di quando in quando delfini, ed una sera vidi sulla piazza dei pescatori, due pesci cani, presi nella notte precedente. Erano della lunghezza di otto a dieci piedi, e la loro tinta di colore turchino nerastro, aveva un non so che di sinistro. Si pescano coll’amo, e quando si sente che lo hanno addentato si tirano a bordo, e si uccidono con una mazza. La loro carne bianca, come quello dello sturione, si mangia, ma è però abbastanza dura.

Vivono per tal guisa questi poveri pescatori una vita dura ed alla giornata, la quale può parere poetica soltanto a chi sta contemplando, seduto tranquillamente sulla spiaggia, le loro barche illuminate, le quali ora si vedono, ora scompaiono sulle onde. Abbiamo, spettacolo uguale sul nostro mare Baltico, se non che si rivela in esso tutta la

F. Gregorovius. Ricordi d’Italia. Vol. I. 8