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allora la povera pazza diventò calma, e domandava colla più dolce inflessione di voce di essere rimessa in libertà. «Si, in libertà domattina,» le diceva l’agente con dolcezza, e questa megera si taceva.

Gli spettacoli diversi dei quali eravamo successivamente stati testimoni nella notte sì stranamente impiegata, ci aveano singolarmente impressionati e come sbalorditi. Suonavano le quattro ed il giorno spuntava sopra Londra, dove, ad una latitudine di 52 gradi, il sole tramonta in estate quasi tanto tardi e sorge quasi tanto presto quanto a Pietroburgo. Avevamo bisogno d’aria, di luce. Ringraziando il compiacente ispettore ed i suoi agenti, ci affrettammo ad uscire da quei quartieri fangosi, dove avevamo passate sei lunghe ore. London Bridge, il ponte di Londra, non era lontano, e noi andammo a chiedere a questo ponte del Tamigi un po’ di frescura, di benessere.

I camini delle fabbriche che trovansi tra i ponti di Londra di Southwartsk e Blachfriars, sulla riva destra del fiume, cominciavano già a mandare in aria nugoli di fumo. Le fabbriche di macchine, le birrerie, le concie di questo quartiere industriale riprendevano il loro lavoro quotidiano, mentre sulla riva sinistra, al disotto della vecchia torre che domina questo punto della City, i bastimenti ancorati sembravano uscire dal sonno della notte. Alcune barche cominciavano a muoversi, e qua e là si sentiva già il rumore del martello sull’incudine ed il fischio stridente del vapore. Una nebbia leggera, che alzavasi dalla superficie del fiume, le cui pigre acque arrivano sì lentamente al mare, montava sull’una e l’altra sponda, e ravviluppava una parte della città, senza nasconderci però l’imponente facciata del palazzo Westminster che bagna i suoi piedi nel Tamigi, e la cupola ardita di San Paolo, chiesa metropolitana della vecchia Londra. Nessun pittore, nessun viaggiatore, passando sul ponte dove noi eravamo, avrà certamente tralasciato di fissare un momento i suoi sguardi sopra questa vista unica, che avrebbe fatto