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58 ricordi di londra.

centesimi, passan la notte. Girai per quei quartieri soltanto di giorno, in mezzo alle case dove vanno a istupidirsi i bevitori d’oppio, dove si fanno i balli osceni a un soldo l’entrata, dove il dilettante di box va a veder vibrare i pugni formidabili che schiacciano gli occhi e spezzano i denti; dove si rinvengono le donne col cranio spaccato dai mariti ubbriachi, dove la meretrice consunta riceve gli amplessi del ladro macchiato di sangue; dove la prostituzione comincia colla fanciullezza e continua colla vecchiaia; dove la ferocia, la lascivia, la miseria si dan la posta nelle tenebre, come mostri schifosi, e s’accoppiano, per mandar vittime al Tamigi, agli ospedali ed al patibolo; dove fermenta, infine, il putridume della grande città, e dove Carlo Dickens andava a bere la birra col suo servitore.


La più bella mattinata che passai a Londra fu l’ultima, chiusa dalla più cara colezione cosmopolita che abbia fatta finora. Ero salito sulla torre di Wren, — quella torre famosa che ricorda un incendio di quattrocentosessanta strade e quattordici mila case: — dalla cima della quale si abbraccia con un colpo d’occhio il grande movimento del ponte-di-Londra e di tutte le strade che vi fan capo sulla sinistra del Tamigi. Trovai lassù cinque giovanotti simpatici, che chiacchieravano allegramente, strapazzando la lingua francese (uno eccettuato) con una disinvoltura da garzoni di barbiere; attaccai discorso; e dopo qualche parola, seppi con mio gran piacere che uno era di Colonia, uno di Manchester, uno di Harlem, uno di Guadalajara e il quinto di Lione; così che, me compreso, il gruppo rappresentava sei Stati: Germania, Inghilterra, Francia, Italia, Spagna ed Olanda, — tre popoli latini e tre popoli nordici, quattro monarchie sane e due repubbliche malate. Ridemmo del curioso incontro, poichè il tedesco e l’olandese eran capitati là anch’essi per caso qualche minuto prima; e gli altri tre si