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IV.



Per vedere bene i musei di Londra bisogna esser ricchi: poter cioè piantare comodamente le tende nella gran città per un anno. Se no, le visite ai musei non riescono altro che marcie forzate. Mi pare ancora di correre per le sale interminabili di quell’emporio universale che è il museo di South Kensington, sperando sempre, all’entrare in una nuova sala, che quella sia l’ultima, e lasciando sempre cader le braccia al vederne un’altra sfilata appena arrivato alla porta. È un gran che se mi ricordo dei famosi cartoni di Raffaello, o d’un meraviglioso Amleto del Lawrence, che mi arresto in un corridoio per propormi l’enimma tremendo. Non presenta però questo inconveniente il piccolo museo di pittura della piazza di Trafalgar, ed ho ancora vivi dinanzi agli occhi quegl’immortali sposi di Hogarth, che furono pagati a lui due mila lire e rivenduti per una somma venti volte maggiore cinquant’anni dopo; le fantastiche battaglie di luce di Turner; i quadri di Raffaello cercati per venticinque anni; e quelli dei quattro pittori prediletti dall’Inghilterra: Correggio, Poussin, Murillo, Claudio il Lorenese. Ma non feci che marcie forzate nel museo delle Indie, nel museo di Soane, nel museo marittimo, nel collegio dei Chirurghi, dove si vede lo scheletro di Carolina Cracami, la famosa nana sici-