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8 | ricordi di londra. |
statua del Languore. Ah è un gran male malsano il mal di mare, bisogna dir col Fucini. Per maggior tormento avevo accanto un francese buffone, partito con me da Parigi, che mi dava la baia, ripetendo ad ogni mio gemito: — Mais vous n’êtes pas malade, mon cher monsieur: vous languissez d’amour pour celle charmante, demoiselle que voilà, — e indicava una signora che io non avevo la forza di guardare; e la gente intorno rideva. Donne! Amore! Se la più bella creatura di questa terra m’avesse detto in quel momento come la duchessa Giosiana al saltimbanco Gymplaine: — T’amo, t’accetto, vieni, — non mi sarei voltato per veder com’era fatta. Quello stesso pensiero: — Questa sera vedrò Londra, — che la mattina mi eccitava tanto, allora mi dava un senso di noia insopportabile. — E dire che son venuto qui, pensavo in quel vaneggiamento, — per mia elezione, per divertirmi! Ah insensato! E pensare che dovrò per forza ripassare il mare! Ah è impossibile; non me la sento più, ci lascerei la vita.... Resterò in Inghilterra.... cercherò un mezzo di vivere a Londra.... farò il commesso di bottega, il maestro di italiano.... purchè io non vegga più mari! Morire, quando giunga la mia ora, sta bene; ma mai più questo supplizio!
Poche ore dopo desinavo nella stazione della strada ferrata di Brighton, e avevo rinunziato al proposito di morire in Inghilterra!
Quando partii per Londra, cominciava a farsi notte; mi rincantucciai nel vagone e mi misi ad assaporare quel grande pensiero che da lì a poche ore sarei stato a Londra. — Londra! — Mi ripetevo questo nome, me lo facevo sonare nella mente con compiacenza, come si fa sonare sul tavolo una moneta d’oro. — Londra! — Provavo non so che gusto a dire a me stesso come se non l’avessi saputo prima, che era una città spropositata, un mare magno, una babilonia, un caos, una cosa favolosa. — È la più grande città della terra! pensavo, — e in questo v’è qualcosa di assoluto, che in nessun’altra città si ri-