Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 22 — |
Assisa al limitare
Del polito tugurio, a cui giammai
Non volse aurea fortuna i passi infidi,
Canti, lavori e ridi,
E tua bellezza e il mondo e altrui non sai.
Io, quando al tuo pudico
Sguardo, lo sguardo mio pensoso intendo,
A te mi volgo e dico:
Tienti, fanciulla, i giorni
Di tua contenta poverezza onesta,
Tienti l’ago veloce e il fil sottile,
Tienti il povero sajo e la modesta
Casa, ov’han pace ed innocenza albergo!
Che ben provvide il ciel, s’altro tesoro,
Fuor che di gemme e d’oro,
Non diede a cui felici il volgo appella,
E la soave e bella
Serenità del cor diede al lavoro.