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l’alveo e la forza delle acque, senza avvicinarsi d’avvantaggio al mare e all’Europa occidentale. Quando la linea poi dovesse prolungarsi per la Francia meridionale da Lione a Bordò, sarebbe il varco rapidissimo per cui non solo l’Alta Italia, e l’Ungheria ma anche la Russia meridionale, la Georgia, la Persia comunicherebbero coll’Atlantico e coll’America.

Ma queste cose sono fondate bensì nelle future probabilità, ma lontane ad avverarsi. Per ora di tutte queste direzioni adattabili all’asse della linea ferrata, l’unica veramente capace di produrre un pronto concorso di transiti, se non per le merci almeno per i passaggieri sarà quella che dalle Isole Jonie per Venezia, Milano e la Svizzera si rivolgerà alla Francia, al Reno, e più ancora all’Inghilterra. Questa direzione è opportuna agli stabilimenti degli Inglesi in Grecia, e si collega alle loro speculazioni itinerarie che per l’Eufrate e il Golfo Arabico tendono ad aprire una via diretta all’India ed all’Australia.

Questo può dirsi frutto maturo e vi si può fare qualche assegnamento, ma le corse da Trabizunda, da Odessa o anche solo da Vienna, a Genova, a Lione, a Bordò o a Gibilterra saranno discorso di fiori finchè la costruzione di altre strade ferrate non congiunga per Genova i due mari d’Italia.

17.

E qui su questa oscura materia dei transiti, che è la base delle grandi speculazioni e l’incentivo delle grandi speranze, mi si permetta di aggiungere qualche cosa ancora, colla promessa d’esser breve.

Una volta la forza dirigeva i transiti piuttosto ad uno che ad altro porto. I soli Italiani avevano forze e riputazione nel Mediterraneo, e imponevano timore ai pirati d’oltremare. Vi era ignoto il nome d’Inglesi, di Russi e d’Olandesi; la Francia ancora cavalleresca, rozza e cenciosa non aveva nè canali nè strade. Marsiglia ed Acquemorte erano porti per tragittar frati e peregrini. Malta era parte inosservata del regno Siciliano; Odessa non v’era; Caffa e Pera erano città genovesi: