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Se poi il nuovo deve trarre a sè gli utili dell’antico: egli sarà come un nuovo alveo di fiume che per diffondere la fecondità in un deserto lasciasse altrove le nude sabbie. Se voi supponete che per fare un grande emporio commerciale a Orzinuovi o ad Albaredo si debba dissanguare l’industria e la possidenza di Brescia o di Verona: io vi domanderò che cosa avremo guadagnato con questo immenso traslocamento d’uomini e di capitali. Avremo reso inutili i capitali già investiti negli edificj, nelle strade, nei canali delle città presenti, per seppellire altra massa di capitali in nuovi edificj su un’altra linea di città future. Cosicchè infine avremo due spese, l’una antica e l’altra attuale, per avere il medesimo servigio di prima. Lasceremo un edificio vuoto e inutile in un’antica città per avere un emporio pieno di mercanzie o un nuovo albergo in un paesello senza nome. Così due edificj, ossia due capitali, ci renderanno il servigio e il frutto di un solo; il che è come dire che l’uno dei due sarà gettato via.

In Italia siamo già ricchi abbastanza di edificj vasti e vacui, di mercati senza mercanti e di vie senza viaggiatori. Nella più parte delle nostre bellissime ed ampie città siamo simili a quegli uomini che dimagrati da malattia vanno a volta cogli abiti larghi e flosci sulle coste, e coi calzoni che sventolano al luogo delle polpe perdute. In tanto cangiamento di cose quanto ne recarono gli ultimi quarant’anni, mentre Londra, Manchester, Liverpool, Birmingham, Parigi, Berlino, Vienna, Odessa, si dilatarono a comprendere nuovi borghi e sobborghi o piuttosto novelle città; due sole delle nostre città ebbero bisogno di ampliare il loro circuito; Torino e Trieste. Sicchè bisogna prima d’ogni altra cosa trar partito da ciò che abbiamo. Bisogna poi far passare la debil corrente del nostro commercio sotto il naso degli uomini, perchè si allettino a porvi mano e si disamorino di quella sterile e fredda vita del piccolo possidente, la quale in alcune provincie ha fatto succedere ai trafficanti e denarosi bisavoli una generazione di gentiluomini, che pongono lo studio della vita a dare ad una