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lino, il fu Elvio Pertinace, poscia Imperatore: puer literis elementariis et calculo imbutus (in Pertinac.). Anzi era pur generale il costume fino al tempo di S. Agostino di cominciare gli studj dall’imparare a leggere, a scrivere e numerare (Confess. l. 13): oltre che i Pagani ebbero la loro Dea Numeria, invocata per far profitto ne’ conti (Id. de Civ. Dei, 4, 11 ).

E valga il vero, l’ingrandirsi della società, il perfezionarsi dell’arti e delle scienze, l’estendersi del commercio, l’ampliarsi delle private ricchezze dovea produrre una inclinazione maggiore allo studio dell’aritmetica, resa omai professione scientifica e pubblica e lucrosa. Conciossiachè com’essa diventò necessaria a’ Geometri, agli Agrimensori, agli Architetti (Columell. 5, 1), così non è a credersi che i vastissimi patrimonj de’ Crassi, de’ Luculli, degli Apicj si amministrassero senza registrarne i proventi e le spese. V’ebbero effettivamente i computisti, siccome si trae da Seneca, nominati da’ Greci logisti o logoteti, fossero gli stessi padroni, o fossero particolari agenti, che si occupassero di simile ministero1; e sono forse que’ medesimi, che il ricordato S. Agostino appella numerarj o numeratori2. Sappiamo da Livio, che Lucio Scipione produsse in Senato il libro de’ conti, librum rationis, di P. Scipione suo fratello, per giustificarsi del delitto di peculato, di cui era accusato (38, 55): e Nipote, favellando di Pomponio Attico e delle sue dimestiche spese, dice in espressi termini: Scimus non amplius quam terna millia aeris, peraeque in singulos menses, ex ephemeride eum expensum sumptui ferre solitum (25, 13, n. 6 ). L’Ernesto (ad h.l.) per Effemeride

  1. Cum in patrimonium ventum est, diligentissimi computatores sic rationem ponitis singulorum, quibus pecuniam credituri estis, aut beneficia (Senec. epist. 87 ).
  2. Multos novi numerarios aut numeratores, vel si quo alio nomine, vocandi sunt, qui summe atque mirabiliter computant (de lib. arbitr. 2, 11).