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Roberto; ed in pochi giorni dovette porsi in ordine per la partenza e per l’imbarco da operarsi a Civitavecchia. Il povero Zaccaria non si attendeva a siffatto annunzio. Come coloro che trovansi soli e derelitti nel mondo, egli possedeva una sovrabbondanza di affetti che tutti avea riversati in Roberto, cui era pure riconoscente per le cure usategli; e lo amava come padre, come fratello, come amico. Quando dunque seppe dalla bocca stessa del sergente la dolorosa notizia, ammutolì; poi a lenti passi s’incamminò verso la sua casa; ascese alla soffitta, vi si rinchiuse; e immemore del suo traffico, passò tutta la giornata seduto sulla sponda del letticciuolo col capo fra le mani. Sul far della sera, all’ora della rassegna, scese giù al quartiere, aspettò il sergente, e, chiamatolo in disparte, gli disse: — Mossiù Roberto, vorrei dirti una parola. — Il sergente, maravigliato per il tono serio del fanciullo, lo fece entrare in una sala terrena, e seduto su di una panca, s’aspettava qualche scena di lagrime. Ma Zaccaria ad occhi asciutti gli si pose dinanzi, e guardandolo nel viso con accento risoluto, che in lui non pareva possibile: — Mossiù Roberto, dissegli, io a Roma solo non ci resto; se tu parti, parto anch’io, e verrò dove tu vai.
— Che ti salta mai in capo, ragazzo mio! — risposegli il sergente con dolcezza; — ma sai tu dove il mio dovere m’obbliga d’andare?
— Sì, so che vai lontano lontano: so che vai dai turchi, che vai alla guerra.
— Ma sai tu che cosa sia andare alla guerra?
— No, non lo so: ma io vengo con te.
— Anche volendo, Zaccaria, non lo potresti; e Dio ti scampi dal trovarti dove si fa la guerra. Nella