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e di legno di faggio necessario pe’ suoi lavori. Una porticciuola con cattiva serratura ne chiudeva l’uscio che dava sul corridoio fra l’abitazione del sartorello e quella dell’intagliatore.

In questa stanza, se così poteva chiamarsi, furono da costui poste una cassa, due sedie mezzo zoppe e su due panchette un piccolo stramazzo con un guanciale. L’alloggio era meschino assai: ma là dentro con poca spesa si accomodò Zaccaria; e vi stava più che contento perchè, essendo sempre in giro, servivagli solo per prendere riposo la notte. Talvolta nel corso della giornata tornava lassù per rifornire la sua bottega portatile. Se le porte delle soffitte erano socchiuse, salutava le due vecchie, dava qualche notizia al sartorello, che al primo vederlo, senza posar l’ago chiedevagli: — che v’è di nuovo, Zaccaria? — e prima di ridiscendere fermavasi a dir due parole col suo padrone di casa sempre intento al lavoro.

Questo intagliatore era un buon uomo, sebbene un po’ aspro di modi; ma il figlio Giovannino era la croce sua. Dopo la morte della madre, che lo teneva a bada, aveva preso a starsene tutto il giorno in istrada. Il padre non gli risparmiava nè digiuni, nè battiture, ma niente valeva. Orgoglioso, irruente, maligno, non si piegava per verun castigo, tantochè il povero intagliatore, il quale avea bisogno di star col capo al proprio lavoro, s’era ridotto a lasciarlo andare, sovente ripetendogli: — Ah Giovanni, Giovanni; tu finirai in galera!

Zaccaria lo sfuggiva per non entrare in domestichezza con lui, e provava per esso una certa avversione che non sapeva spiegare. Quando usciva con la sua cassetta appesa al collo, Giovannino vi gettava