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lanciavano per braveria e per pompa contro il porto molte frecce d’argento. Quindi i genovesi radunavano tutte le loro navi innanzi alle bocche d’Arno, e mandavano di nuovo a sfidare i pisani. Tanto da una parte quanto dall’altra nel corso di due anni gli apparecchi furono tali che Genova aveva armato cento sette galere, e Pisa centotrè. A stento si può concepire come due sole città potessero creare due flotte così potenti. I genovesi avean richiamati in patria tutti i marinai ch’erano fuor di paese, ed i pisani avean dato posto sulle loro navi a quanto di meglio v’era in ogni classe di cittadini; ed ogni famiglia aveavi il suo, ed anche più.

Le due flotte erano state divise in tre schiere ciascuna. La prima squadra dei pisani era comandata dal veneziano Alberto Morosini, eccellente capitano di mare; la seconda da Andreotto Saracino; e la terza dal conte Ugolino della Gherardesca.

— Quello che fu fatto morir di fame co’ suoi figli e coi nipoti? — domandò Geppina.

— Per l’appunto quello, — rispose Sofia, e continuò: — La prima squadra dei genovesi poi era comandata da Oberto Doria grande ammiraglio, la seconda da Corrado Spinola, e la terza da Benedetto Zaccaria.

— Ah! di certo costui è antenato di quel signor Domenico, — disse Emilia seguitando a ritoccare il suo quadro.

— Correva il giorno 6 agosto del 1284 quando i pisani, usciti d’Arno, eran venuti vogando squadra a squadra verso l’isola della Meloria, presso cui scorgevansi riunite le vele dell’inimico. Essi tenevano certa la vittoria per le armi loro, riputandosi di