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— Un capitale!... interruppe Maurizio, e donde lo traeste?

— Intendi, babbo: non un capitale effettivo, un capitale sonante, ma qualche cosa che può tenere luogo di esso. Tante volte noi t’abbiamo udito a dire che il lavoro è il più sicuro dei capitali, e che queste due forze si fondono in una, perchè senza lavoro non v’ha capitale, e senza capitale non v’ha lavoro.

— Ebbene?....

— Ebbene noi vorremmo porre a frutto il lavoro de’ nostri pennelli, vendendo i nostri quadretti, e trarre così guadagno dal capitale che tu ci donasti.

— Ma che idea è codesta, riprese il padre alquanto accigliato, e di qual capitale tu parli?

— Sii buono, babbo: ascolta. Se invece di spendere molto danaro come tu hai fatto per la maestra di disegno e di pittura, per la carta, le matite, i colori, i pennelli, i modelli e cento altre coserelle, tu avessi depositato quelle somme in una banca a nostro nome, noi ora avremmo un bel peculio che ci frutterebbe un buon interesse. Tu invece con quel danaro hai voluto che da noi si apprendesse un’arte, la quale, oltre il grande diletto che ci procura, può esserci utile materialmente con la vendita de’ nostri lavori. Ed ecco il capitale che noi vogliamo porre in commercio; ecco la speculazione che noi abbiamo in mente di effettuare, se tu il consenti.

Maurizio durava ancora nell’aspetto contegnoso senza pronunciarsi, sebbene in cuor suo intendesse tutta la giustezza del raziocinio della figlia, e nulla trovasse da opporvi. Ma avendo egli allevato nella opulenza le due fanciulle, rifuggiva alla idea che