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vorasse nel petto. Questi rifuggiva dal recarsi sovente in città, e non potendo alla giornata sperare il ravviamento d’alcun commercio, per non istare inoperoso e procacciarsi qualche compenso, valentissimo com’era nella scienza de’ numeri, aveva impreso a porre in ordine registri, rendiconti ed altre operazioni di simil natura per commissione altrui.

Le due figlie con l’aiuto della Caterina davan mano a tutte le faccende della casa, sebbene le più umili. Cucivano i loro modesti vestiti, prendevan cura della poca masserizia, delle biancherie; ed invece de’ loro graziosi e rari augellini, governavano alcuni piccioni ed una chioccia. Insomma chi vedute le avesse, le avrebbe tenute per figlie a qualche buon fittaiuolo. Intanto però esse non lasciavano andare perduto un solo istante in ozio, e sovente ricorrendo a’ loro pennelli, prendevano a ritrarre semplici scenette con animali e contadini, le quali riuscivano di un meraviglioso effetto.

Un giorno ch’esse aveano dato l’ultimo tocco ad un quadretto rappresentante due garzoncelli che danno sepoltura ad un augellino morto, Emilia disse alla Sofia: — ma sai, sorella, che mi par buono questo nostro lavoretto? V’è proprio da andarne altiere; non ti sembra?

— Tu sei un po’ troppo fiduciosa, Emilia; ma pure sì, se guardo a’ tuoi cespugli, a questa frana, a questo ruscello, debbo convenire con te che tutto è tratteggiato con verità e colorito fresco e vivace.

— Oh guarda mo’! si direbbe che i tuoi bambini qui non valgano queste quattro frasche; ma non vedi quanta grazia in quei visetti paffutelli, atteggiati a tristezza? E quei loro vestitini, e l’augel-