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per dire: — coraggio — altri infine più amici e più sinceri pigliavan discorso sul disastro, e mostravano a Maurizio grande interessamento. Fra costoro più di tutti un antico socio, suo intimo, ch’era stato fra i convitati del giorno innanzi, andavagli dicendo: — Sì, Maurizio, è un gran disastro questo che t’è toccato: ma in commercio, lo sai, oggi giù, domani su. Lavoro, operosità, fortuna, si torna a fior d’acqua pria di quel che si pensi.

— Lo spero, mio buon amico, intanto però....

— Tu possiedi abbastanza per non essere colato a fondo dal naufragio. So qual grave perdita sia la tua; ma tu hai mezzi per ripararvi...

— Sì ed ho già provvisto. Per una operazione di borsa, gran parte delle mie sostanze è nelle mani del Doretti di Firenze, e già ho telegrafato....

— Del Doretti!? — l’interuppe l’amico con accento concitato — di Giacomo Doretti?

— Sì, certo; e qual meraviglia?

— Doretti? Ma tu dunque sventurato non sai?...

— E che?...

— Che il Doretti, e debbo io proprio annunciartelo, che il Doretti ha dolosamente fallito ed è fuggito da Firenze?

— Dio! che ascolto. Ma è impossibile!

— Impossibile? Io vengo dalla borsa questa notizia, e quella del naufragio della Costanza vanno per le bocche di tutti. Dolfini, Alberti, Marazza furono abbindolati e ruinati da quell’iniquo furfante.

— Se è così, anch’io lo sono stato con loro — balbettò Maurizio con cupa voce e semispenta, lasciando cadere il capo nelle mani appoggiate sullo scrittoio.