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— Meno ciarle, Gianni; giù questa roba, e con garbo.

— I’ non vi piglio nulla io! L’era una curiosità la mia.

— Già non può farsi un po’ di festa, che s’ha a dire il come, e il quando — riprese Tommaso mentre dava mano a tor la cesta dal baroccino. — Ebbene, giacchè s’ha a dar conto anche a lor signori: sicuro, c’è festa oggi; nientemeno che il padrone compie cinquant’anni, e le signorine vogliono che si faccia una festa, una festona; e quando il signor Maurizio torna dal banco, che è che non è, senza che or sappia nulla, ha a trovare la casa meglio che in dì di nozze. Vi sarà gente a desinare, e questa sera musica e ballo coi sorbetti.

— Benedette le buone figliuole, disse Beppe, e’ ci sarà un terzino di Chianti anche per noi! —

In luogo del Chianti, il vecchio domestico donò ai facchini qualche moneta di mancia, e li rimandava contenti: ma siccome era parolajo assai, non senza avere prima detto loro la lista degli invitati, quella delle vivande, e quasi quasi la spesa.

E Gianni a ghignare col compagno mentre diceva: — Bravo signor Maso: ella ha più parole d’un leggio. Un’altra volta la ci sgridi più forte che noi si ciarla troppo. —

Questo vecchio Tommaso, era il più brav’uomo del mondo; operoso, affezionato, fedele; e il difetto della troppa lingua svaniva al confronto delle sue buone qualità. Stava in casa Gerli da oltre vent’anni, da quando il padrone s’era fatto sposo. Avea quasi veduto nascere le due figliuole di lui e bamboleggiato