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Tra queste ed altre parole due facchini davan moto ad un baroccino collocato dinanzi la bottega del Contessini, famoso pasticciere di Livorno sull’entrata della via Vittorio Emanuele, una volta via Larga. Su di esso avean caricato ceste con pasticcini, confetti, bottiglie di liquori, e di vini scelti con alcuni oggetti destinati all’uso de’ rinfreschi. Percorsa la via del porto, la piazza d’armi, uscirono la Porta a mare e per la strada dell’Ardenza, si diressero a casa Gerli.

Dopo una mezz’ora di cammino Beppe e Gianni sostarono dinanzi ad un elegante cancello pel quale penetravasi in una villetta ricinta di fitta siepe e verdeggiante per ogni sorta di variati alberi. Sotto di essi e praticelli, e aiuole, e cespuglietti eran tutti vestiti di variopinti fiori delle specie più rare. In mezzo al piccolo parco un casino quadrato, bianco, di semplice e pura architettura con un ingresso adorno di breve scala e di un portichetto ergevasi isolato, ma protetto dal sole e dagli sguardi importuni con numerose piante. Era proprio un’abitazione destinata alla pace ed alla quiete. Ma in quel giorno quiete non ve n’era punto, chè anzi parecchi famigli maschi e femmine si affacendavano e dentro e fuori la casa a mettere in assetto la mobilia, a deporre le più belle masserizie, a decorare ogni angolo di verdura e di fiori. Ed allorachè i facchini s’arrestarono col baroccino dinanzi al portico, un vecchio domestico prese a rimprocciarli della tardanza. Tutto adunque aveva aria di movimento insolito e di festa.

— E’ un è i’ tocco ancora, rispose Gianni al vecchio Tommaso, e per giungere a puntino abbiam corso in modo da sfiatarsi. Ohè! Gran festa a casa Gerli! La dica, che si fa le nozze?