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Quattro muri d’informi pietre collegate con terra ed acqua sono le pareti del meschino ricovero. Esso è riparato dal sole e dalla pioggia da alquanti frasconi appoggiati ad una vecchia trave posta a cavaliere de’ muri, e che sporgono all’intorno della maceria a mo’ di gronda. Non v’ha finestre, non pertugi onde l’aria, la luce possano circolare là dentro liberamente. Solo la porta, bassa, formata da mal composte tavole con tre o quattro assicelle traverse, serve di adito al tugurio, e quando essa è aperta gli dà aria, gli dà luce. È vero che dalla sconnessa in frascatura talvolta un piccolo raggio di sole si frange in sottilissimi sprazzi come una luminosa matassa: è vero che nella notte fra i fessi una stella tremolante infiltra le sue variopinte scintille, e la luna vi penetra imbiancando la bruna dimora e la rallegra: è pur vero però che quando il vento imperversa, e la procella domina la valle, grossi goccioloni ed il soffio gelato dell’aquilone passano là dentro, e la rendono più trista e più disagiata. Un focolare di legno semiadusto, due panche che sostengono uno