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XVII.



Sono le dieci del mattino. La signora assisa vicino al balcone contempla il corso dell’Arno, i grandiosi palagi, la elegante Chiesa della Spina indorata dal bel sole d’Italia. Un cameriere entra per annunciare l’orefice.

— Fatelo entrare — ella risponde.

La porta si schiude, e la famiglia dell’orefice s’avanza. Le due bimbe portano un cestellino ricolmo di viole sulle quali è posto ripiegato un ricco merletto ed un astuccio. Spinte dolcemente dalla madre, le due bambine vanno ad inginocchiarsi dinanzi alla signora offrendole i fiori, mentre Berta e Zaccaria s’impossessano delle mani di lei e le portano vivamente alle labbra.

La signora interdetta guarda uno, guarda l’altro, guarda le bambine, e nulla intende.

L’orefice senza poter parlare le indica l’astuccio. La signora lo prende, e vi legge scritto sopra a lettere d’oro! — Ricordo del povero Zaccaria.

— Zaccaria!... Chi?... Non intendo.

— Zaccaria; signora, Zaccaria: quel misero fanciullo