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una febbre d’indole la più bizzarra, venne ad interrompere il lento processo di rimarginamento della coscia. L’infiammazione si riaccese, la febbre aumento, perdè conoscenza, e presto fu agli estremi, e morì, senza aver neppure il conforto d’accorgersi del povero Zaccaria, il quale, ottenuto il permesso di stargli da presso, lo vegliava di giorno e di notte. La salma del prode ufficiale fu accompagnata all’ultima dimora da’ suoi fratelli d’arme e fu sepolta nel cimitero latino, nel luogo detto Pankaldi che sovrasta alle ultime case del sobborgo di Galata.

Zaccaria avea seguito il convoglio da vicino, ed era tanto addolorato che non piangeva più. Gettò anche egli un pugno di terra sul feretro del defunto, e, quando tutti furono partiti, in preda ad un pro fondo sconforto, inconscio della sua sorte avvenire, si assise sotto un cipresso.

S’avvide di lui un giovine svizzero di nome Giorgio, il quale, frequentando l’ospedale per un ferito della sua nazione, che stava di letto vicino a quello del povero Roberto, avea presso a poco saputo la storia del fanciullo, ed apprezzato la bontà del suo cuore. Egli era nativo di Berna; avea imparato oreficeria a Ginevra, dove un suo zio teneva una fabbrica di gioielli e di oriuoli, e stava con un proprio fratello a Costantinopoli per affari del loro commercio. Questo giovine fu tocco dall’aspetto desolato di Zaccaria; s’avvicinò a lui, provossi a rincorarlo, e gli propose di andar seco per fattorino.

Che cosa aveva egli a fare? Solo, inesperto, in una grande città tanto lontana, straniero in mezzo a stranieri, e di più fra i turchi che gli incutevano molto timore. Accettò l’offerta; e da quel momento parve.