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foltissima nebbia. Le falangi russe precipitano inaspettate sulle milizie inglesi che corrono alle armi e danno principio ad una sanguinosa lotta. Da un lato e dall’altro si combatte con uguale coraggio, con uguale furore. Gli inglesi tentano respingere l’esercito assalitore: ma il nemico è troppo numeroso e risoluto, e piomba da ogni parte su loro come impetuosa valanga. Accorrono le milizie francesi. La battaglia diviene tremenda, gigantesca. Gli assaliti e gli assalitori fanno prodigi di valore: i capitani combattono come soldati, a corpo a corpo, alla baionetta, mentre le artiglierie coi loro lampi sinistri rischiarano l’orribile scena, e mietono a migliaia le vite. A mezzogiorno i russi erano ricacciati di là della Cernaia e 15 mila uomini morti o feriti giacevano sul campo.
La sera avvicinavasi rapida, caliginosa, glaciale: la luna pallida sorgeva dietro le torri di Sebastopoli. Gli alleati sebbene vittoriosi rientravano sfiniti e decimati nei propri attendamenti; venivano a gruppi, a manipoli, alla sbandata; alcune compagnie erano ridotte un pugno d’uomini. Zaccaria stava fisso dinanzi al padiglione di Roberto cercando fra i reduci con isguardo ansioso. A mezza mattina avea dalla baracca veduto il reggimento di Roberto dirigersi a passo di corsa verso il luogo della battaglia. Il tenente aveagli gridato da lungi: — addio, Zaccaria. — Ora quell’addio risuonavagli all’orecchio come un eco funesto. Il reggimento era tutto tornato. Tutto? No. Fatta la rassegna, mancavano parecchi ufficiali e tre centinaia di soldati. Sono morti? sono feriti? sono prigionieri? Chi lo sa!
Zaccaria era in preda ad una terribile angoscia.