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autoritario: essa di migrazione in migrazione diventò puramente anarchica, ed oggi vive di una modesta esistenza nel territorio del Ioura, presso la riviera Desmoines (Stati Uniti).

Ma dove la pratica anarchica trionfa di più e nella vita ordinaria, fra la gente del popolo; la quale certo non potrebbe sostenere la lotta terribile dell’esistenza se non si aiutasse scambievolmente e spontaneamente, senza differenza o rivalità di interessi.

Quando uno di essi cade malato, altri poveri prendono con sè i figli di lui: lo nutriscono, gli fan parte della magra pietanza della settimana, cercano di soddisfarne i bisogni lavorando qualche ora di più. Tra vicini una specie di comunismo si stabilisce col prestito, il va e vieni degli utensili casalinghi e delle provvigioni. La miseria unisce i disgraziati in una lingua fraterna: insieme hanno fame, insieme si sfamano. Morale e pratica da anarchici sono perfino in certe riunioni di borghesi, da cui a prima vista, ci sembrano del tutto assenti. Immaginate, infatti, una festa di campagna in cui qualcuno, sia esso l’ospite o un invitato, affetti arie da padrone, permettendosi di comandare o di fare indiscretamente prevalere il suo capriccio! Non sarà forse ciò la morte di tutto il divertimento, la fine d’ogni piacere? Non può esservi gaiezza che fra uomini liberi, fra gente che può gioire a modo suo, a gruppi se così lor piace, ma vicini e mescolantisi a lor grado gli uni cogli altri, poichè soltanto così le ore passate insieme sembrano più dolci.

Permettete, per mostrarvi come anche dove si crede esser necessaria l’autorità, essa sia perfettamente inutile, che vi narri un ricordo personale.

Si viaggiava sopra uno di quei bellissimi piroscafi moderni, che fendono superbamente i flutti con una velocità di 15 o 20 nodi all’ora e che percorrono la loro strada in linea retta da continente a continente malgrado i venti ed i marosi. L’aria era calma, la sera era dolce e le stelle apparivano ad una ad una, scintillanti nel cielo nero. Si parlava sul cassero: e di che si doveva parlare se non della eterna questione sociale che ci tiene avvinti e stretti alla gola come la sfinge di Edipo? Il reazionario della comitiva era vivamente incalzato dai suoi interlocutori, tutti più o meno socialisti.

Ad un tratto egli si rivolge verso il capitano, sperando di trovare in lui, come capo e padrone, un difensore naturale dei «sani» principii. «Qui comandate voi, non è vero? ed il vostro potere è sacro. Che ne sarebbe del bastimento, se non fosse diretto dalla vostra costante volontà?».

«Ingenuo, che voi siete! — rispose il capitano — Io posso assicurarvi che d’ordinario la mia persona non serve proprio a nulla. L’uomo al timone tiene il naviglio sulla retta via; fra qualche minuto un altro timoniere prenderà il suo posto e noi continueremo lo stesso il cammino. A basso, i fuochisti e i macchinisti lavorano senza bisogno del mio aiuto senza mio consiglio, e fanno tutto meglio che se io stessi lì a guidarli. E tutti questi gabbieri, i marinai, sanno tutto ciò che loro spetta fare, e all’occassione io non posso far altro che aggiungere la mia piccola parte di fatica alla loro, più gravosa ed assai meno retribuita della mia. Veramente, si