Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
Altri in mistici sogni il morbidetto
Spirito adagi, e tra’ feroci eventi,
Di cui grave è l’età, passí come ombra
Fluttuante a l’azzurro. Io de la pia
Vittima il puro sagrificio ammiro,
Ma seguir l’orme de la sua dottrina
E in lui fidar più non m’è dato: il cielo
Sia suo; campo degli uomini è la terra;
Ne la battaglia secolar Natura
Una sola arma, la ragion, ci diede;
E la ragion ei salverà.
— Possanza
Vana è la mente, ove non parli il core.
— Ferro impuro ed informe era il cor mio,
Ma la scíenza inesorata nella
Fucina sua l’arrovento, nell’aspre
Sue tanaglie lo strinse, e con tal maglio
Su l’incudine sua tanto il percosse,
Che alle sue leggi alfin docile il rese.
Indi un pensier, come un acciar, diritto,
Un cor che solo alla ragion si piega,
Raro mostro a’ mortali una ribelle
Forza conscia di sè, ch’oltre a’ confini
Del piccioletto mal, del piccioletto
Bene del mondo spaziando aleggia,
In me videro i saggi; e paventando
La mia virtù, la mia vittoria, in questa
Gabbia il mio corpo, empje e crudeli, han chiuso.
Che monta! Io vincerò. Questa è la salma
D’Aroldo quel che voi l’animo dite,
D’una Chimera fiammeggiante è fatto
Ospite da gran tempo; ed essa a volo
Per l’infinita regíon lo porta,
Che a voi, prudenti, eternamente è chiusa.
— Ahimè, passato è dei profeti il tempo!
— Non profeta soltanto: io confermai
Con l’opra il dètto: apostolo mi feci
D’un’idea santa; martire mi ha fatto
La virtù vostra. Misero e schernito
Altri giorni vivrò; ma dei mortali
Lo scherno io sprezzo e la pietà non voglio;
Solo morrò; ma l’avvenire è mio.
V.
DALLE «MEMORIE» DI AROLDO.
«Strane follie, bizzarri aspetti! Muto
Per le cupe corsíe, per l’ampie sale
M’aggiro io spesso, e le penose forme,
Che l’uman senno in questi lochi assume,
Vo notando; e di me forse in quell’ora
Più che degli altri io son pensoso e triste.
Or, ne la notte insonne, ad una ad una
Tornano al mio pensier l’irte sembianze;
E ad ingannare il vol pigro dell’ore.
A le memorie mie, con un sorriso
Fatto di pianto, i detti lor confido.
IL PADRE ETERNO.
« — L’ente son io. Benchè qui chiuso, io tutto
Animo il mondo, e onniveggente io sono.
Il Verbo mio trasse dal nulla il Tutto;
Perirà tutto; io tal sarò qual sono.
Luce, vita ed amore io spiro in tutto,
Ed Uno e Trino e tutto in tutto io sono:
L’eternità, l’infinità del tutto
A me un istante, un punto, un nulla sono.
Gli astri, la terra, il mar, gli uomini, tutto
Ecco, ad un cenno mio polvere sono:
Gioco della mia destra il Nulla e il tutto.
Stolto mortale, e tu non sai chi sono?
Tu che saper, tu che domar vuoi tutto,
Ombra sei, ombra è il mondo; Io son Chi sono!
IL PAPA.
« — Ch’io scenda a patteggiar col novo erede
Di colui ch’usurpò la sede mia?
Ch’io levi a benedir la destra pia?
Scellerato chi ’l dice, empio chi ’l crede.
Benchè prigione insidíato io sia,
Incrollabile, eterna è la mia fede;
Nè lungi è il dì, che su la bestia ria
Ella porrà, come a’ begli anni, il piede.
Sgombrerà, sgombrerà gl’ineliti luoghi
La genía triste; e l’ombre, ove or mi celo,
La luce avranno del mio doppio trono.
Cadrà sotto al mio cenno il mondo prone
E a celebrar la mia vittoria, i roghi
Lingueggeranno, alto stridendo, al cielo.»
L’IMPERATORE.
« — Quest’impero fatal, che m’appartiene
Per diritto di sangue e di conquista,
E beato così della mia vista,
C’ha sol nel mio piacer posto ogni bene.
Da’ ghiacci eterni a le fiammanti arene,
Tanta ogni di gloria e possanza acquista,
Ch’ogni popol remoto arde e s’attrista
Nel desiderio delle mie catene.
Sperate, o genti! Il mio popolo eletto
Porterà a voi la mia bandiera, a’ troni
Vostri un monarca, alle vostri armi un duce.
Io nel castello mio, fra’ miei baroni,
Inebbríato della propria luce,
Il culto vostro o il vostro eccidio aspetto!»
IL PEDANTE.
« — Pedante! E sia. Del mio sapere indegno
Sarei, se contro a’ folli armato uscissi:
Nelle italiche scuole unico io regno,
Astro immortal che non conosce eclissi.
Il popol mio, che prode animo ha pregno
Di radici, di temi e di suffissi,
Presidierà, s’è d’uopo, il mio buon regno
Con pleonasmi, iperboli ed ellissi.
In trono d’aoristi e d’ablativi
Tranquillo io poggio, ma gli strali ho pronti
A punir gli empj, a sgominar gl’iniqui;
E se stretto sarò da’ casi obliqui,
Io scaraventerò contro a’ cattivi
Alcaiche e ipponattèe, giambi e scazzonti!»
VI.
«Io chiudo gli occhi, e guardo entro me stesso
Oh costellato firmamento in una
Placida notte äutunnale! Oh puri
E di tramonto ignari astri, il cui nome
Mi rifiorisce su le labbra appena
Nei vostri scintillanti occhi mi affiso:
Amorosi, pietosi astri, che un tempo
Versaste, urne divine, entro al mio core
Assetato di voi l’onda lustrale,
Che sola il petto de mortali indía,