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Che val furia di nembi e di bufere?
Sono i baci del Sole i premj nostri;
Son le umane virtù nostre sorelle.
XIX.
Vibra dall’infeconda arbore a’ rami
Il mattutino giardinier la scure,
Ed a mirar la prossima caduta
Dell’ombra annosa il passeggier si arresta.
Gemono a colpi ben temprati i nocchj
Rubesti; incerte tremolan le foglie
All’insulto incompreso, e con sommesso
Murmure l’aura interrogando vanno.
In un silenzio sospettoso assorte
Stan le piante vicine, e dei cognati
Ceppi all’eccidio abbrividir le vedi.
Piombano intorno scavezzate o in brevi
Rocchj mozzate le frondose braccia;
Crocchia a’ crolli iterati il fusto nudo,
Che disperato il natio suolo abbranca,
Finchè vinto abbandonasi, e con sordo
Rombo la gleba sconquassata opprime.
Pietà ne sento: è triste ogni rovina;
E fu triste la tua, magico errore,
Che ombrasti già del mio pensiero il regno.
Ma se penso, o domata arbore, a quanta
Parte d’azzurro col perpetuo crine
Invidiasti e le bramose ciglia:
Se al vivo raggio io penso e alle rugiade
Che usurpasti gran tempo agli egri arbusti,
L’irsuto braccio e l’affilata scure
Che ti recise io lodo. Ecco, il mio sguardo
Spazia libero alfine; ecco la via
Ampia, diritta, popolosa, i tetti
Supini al sole, i domi austeri, il golfo
Gemino e il mar divino e d’Ibla i colli
Rosei sfumanti ne l’immenso opale.
Salve, o provvido acciar, che le nemiche
Ombre diradi e i vecchi inciampi atterri!
E voi, suddite piante, umili erbette,
Ravvivatevi alfine: il sole è vostro!
XX.
Il sudor de le fronti affaticate
Nell’orbe cave, su le glebe avare,
Le lagrime per l’alta ombra versate
E i torrenti di sangue han fatto un mare.
Da un incessante palpito agitate
Crescono l’onde al ciel crepuscolare,
Finchè, di quanto su le terre ingrate
Visse un tempo e regnò, più nulla appare.
Ma torna Amor: da le sanguigne spume
Bianca emerge Afrodite.... Ave, fecondo
Spirito, che su l’acque orride muovi!
Senton gli abissi il tuo fervido nume,
E intorno a te rinascer vede il mondo
Nuove età, nuove genti, ordini nuovi.
XXI.
Verrà: per quel poter che l’infinita
Mole perpetuamente urge e trasforma,
Sacra all’Idea che i novi animi informa,
Veduta dal pensier, dal cor sentita,
Una specie verrà, che da la torma
Nostra, dagli anni e dal dolor contrita,
A più alti destini, a miglior forma
Divinamente inalzerà la vita.
A te. stirpe sovrana, i ferrei nodi
Sciorran gli Enimmi, onde sì fiera in noi
Lasciò la Singe i freddi artigli infissi;
Sveleran le Cagioni ultime a’ tuoi
Sguardi il semplice ordito, e in nuovi modi
Regnerai con amor cieli ed abissi.
XXII.
Ascenderò dei secoli la vetta;
De la Giustizia agiterò la face;
E con la fronte al vasto azzurro eretta,
Alla terra ed al mar griderò: Pace!
Al grido mio si scoterà l’inetta
Ciurma (in pasto serbata al dio rapace)
Che libertà da’ suoi tiranni aspetta,
E folta, in armi, al cenno lor soggiace.
Sonerà nel mio grido al suo commisto
L’imprecazion dei popoli traditi,
L’onta e il rimorso dei pugnaci padri;
Soneran l’ansie, i gemiti infiniti
Di tutti i figli, di tutte le madri,
E il tuo sospiro, il tuo perdóno, o Cristo!
NEL TRISTE ASILO.
I.
Salía da’ campi, nell’incanto assorti
Del vaporoso plenilunio estivo,
Una soave cantilena; e gli occhi
D’Aroldo, or or chiusi nell’ombra, ov’era
La grigia mole dell’Ospizio immersa,
Trasognando si aprirono, e nel mite
Riso del cielo scintillår di pianto.
Doleasi la canzon languida, e l’aure
Si destavano intente a’ suoi sospiri;
Fuor de la nebbia cerula dei prati
Emergeano alla luna alberi e case;
E un vol cheto di sogni, un corteo lento
Di tralucenti immagini sorgea
Su da la notte di quel cor ferito.
II.
De la sua giovinezza, ahi breve tanto,
L’ora più bella ei rivivea. Deserta
Dinanzi a lui, dintorno a lui correa
L’arida steppa ad incontrar l’azzurro;
Ed ei, che dilungato erasi alquanto
Dagli ambigui compagni, ed alla voce
De le cose porgea l’avido orecchio,
Si trovò fuor di traccia, e nell’adusta,
Silenzíosa immensità smarrito.
Lusinghiere fantasme, ibridi aspetti
Di centauri e di sfingi e mostruose
Ombre solcate da sanguinee faci,
Da la terra, dal cielo, al capo, a’ fianchi
Gli si stringeano in torbida congiura,