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Vol di speranze iridescenti al sole
Prorompea dal cor nostro ad ogni riga....
Perchè di pianto si velar d’un tratto
I sognanti occhi nostri? Il libro santo
Chi chiuse a un tratto? Ahimè, dunque per sempre
Chiuso tu sei, splendido libro? Muto
Per sempre, o libro incantator! Ma vivo,
Come di sangue, è tra’ tuoi fogli un segno;
Tra’ fogli tuoi, qual memorevol fiore
Che dolcemente, ancor che morto, olezza,
Il più bel sogno de’ nostri anni è chiuso!
IV.
Piedini scalzi, che malfermo il passo
Movete al verno per le vie fangose;
Tenere membra mal da’ cenci ascose,
Cui tetto unico è il ciel, guanciale un sasso;
Maceri vecchi, che invan le callose
Mani tendete al signor tronfio e crasso;
Madri digiune, che in veglie affannose
Porgete a’ bimbi il sen pallido e lasso:
Di voi, di voi, nell’aspra notte, il vento
Parla, ond’io balzo. E mentre una sonora
La contigua magione eco mi getta
Di folli danze, solitario, intènto
L’animo mio veglia nell’ombra, e l’ora
De la Giustizia spasimando aspetta.
V.
Che della vita e della morte a noi
Sia cieco il fonte e la ragion preclusa,
Ben io mel so; ma chi frenar può questa
Irrequieta, insazíevol brama
Di scovar le Cagioni ultime e i cupi
Valli guadare in cui s’accampa il Vero?
O pensiero dell’uom, dardo scoccato
Nell’ombra! Sibilar t’ode un istante
L’umano orgoglio, e della Notte immensa
Ferir s’illude, alto bersaglio, il core.
Ma silenzio ed oblío segue; e respinto
Da un arcano potere, ecco, l’acume
Del dardo audace al tuo cervel si appunta.
Non però ti ritrai; fiero, protervo
L’agon ritenti; armi novelle in vecchie
Battaglie induci; con audacie nuove
L’Enimma assalti; ed al moscon sei pari
Che da chiusa finestra all’aer vivo,
In tumulto ronzando, uscir presume:
Facile irrompe a’ vetri opposti; il capo
Batte ostinato; in tortuosi voli
Contro a’ lucidi inciampi a cozzar torna,
Finchè da le crescenti ombre sorpreso,
Stordito e stracco il dì novello aspetta.
VI.
Come in un lago limpido e profondo
Gli astri e le nubi dell’etereo giro,
L’amor, l’ansia, il dolor del verecondo
Animo tuo nelle tue luci io miro.
Muta agitarsi al cor mio triste in fondo
Delle brame tu vedi il popol diro;
Io, mentre saggio i sensi miei ti ascondo,
Del tuo saggio tacer, folle, mi adiro.
Così frenando i desiderj audaci
In un silenzio, in un supplizio alterno,
Veleggiam sospirosi il mar de’ Sogni:
Se non che ad ora ad or, dal muto inferno,
Verso il nido ch’io bramo e che tu agogni,
Sciama ardente, irrompente un vol di baci..
VII.
O di fulminatrici armi palestra,
Di romane virtù perpetua scuola,
La patria mia, di civiltà maestra,
Riconquista per te senno e parola;
In te la gioventù forte si addestra
Nell’urte pia che i popoli consola;
In te l’itala prole, oh santa, oh cara,
Rapine, incendj e fratricidj impara!
VIII.
Luccicavan conteste in foggia strana
Sovra il petto di lei, come sul vostro,
Cristalline cannucce e sfaccettate
Margheritine di giavazzo. Muti
Erano al gregge adorator quei vèzzi,
Che variamente in nappe, in fiocchi, in fiori
S’intesseano vibrando, e ad ogni moto
Della persona irrequíeta, ad ogni
Palpito di quel cor davan bagliori
Vertiginosi a chi sedeale appresso.
Vaghi emblemi sol io, simboli cari
Intravidi in quei fulgidi grovigli;
Indovinar sol io, folle, presunsi
Di quei bizzarri ghirigori il senso:
E speranze e promesse alte vi lessi
Ch’eran nel mio, non nel suo core, incise.
Ahi, la secreta, universal parola,
Ch’era dell’amor suo l’unica chiave,
La parola «oro» io non vi lessi pria
Che tutta avesse il petto mio bevuta
Dei baci suoi la velenosa ebbrezza!
IX.
Troppo con ciglio audace e core invitto,
Di mia salute immemore, fisai
L’anima de la Notte, ove «Giammai»
In sanguinose, eterne cifre è scritto.
Dall’ombre attorto, in disugual conflitto,
In questo inesorato antro piombai;
E qui morrò da la viltà trafitto
Di quanti un dì più caramente amai.
Strisciano intorno a me l’Ore maligne
Torpide vigilando, e in flebil metro
Susurrando al mio cor minacce orrende;
Nè tutte a penetrar l’ombre ferrigne
Giovami l’amor tuo, ch’alto in me scende
Come raggio di sole in carcer tetro.
X.
Non errava smarrito il mio pensiero
Quando in silenzio, accanto a voi, nel vuoto
Fiso lo sguardo, io v’ascoltava, e voi
Bisbigliavate amabili parole
Come anima che ad altra anima parli
Da molto ciel, da molta età divisa.
Il mio pensier, vecchio grifagno, avea
La sua preda ghermita, una leggiadra
Preda, a dir vero, e tal che da molti anni
Non avea la fortuna a lui concessa.
In un placido volo, all’Etna in cima,
Sotto l’azzurro interminato, in faccia