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III.


«Ascolta, o ciel, della mia voce il tuono;
     Porgi, o terra, al mio dir le orecchie intente;
     Odimi, o notte: la Giustizia io sono.

O morituri, a cui l’ora dolente
     L’animo pervicace umilia e scema,
     E voi che in traccia di piacer, la mente

Travagliate errabondi all’ora estrema,
     Tutti ascoltate la funerea voce
     Che su voi piomba, e ognun ne pianga o frema.

Io da voi nata e da voi posta in croce,
     Ecco libero il braccio, e in voi dall’alto
     Zolfo avvento e bitume e foco atroce:

Ecco le schiere mie lancio all’assalto
     De’ valli tuoi, plebe gandente, e mozzo
     Le tue moli di bronzo e di basalto.

Stolti assai non vi fu l’aver di sozzo
     Bacio sconciato il mio virgineo seno,
     E il mio corpo tuffato in luteo pozzo;

Voi di sangue mi avete e di veleno
     Abbeverata, e delle case mie
     Fatto avete e di me traffico osceno.

A che valse che poche anime pie
     Visser fide al mio culto? Un branco infame
     Le scherni per le reggie e per le vie.

Ma così paga sia l’onesta fame
     C’hanno di me l’austere anime, io tosto
     Di voi, stolti, farò stoppa e letame!

Come della prigione in cui fu pòsto
     Spezza fervido i cerchi, e dalle aperte
     Doghe prorompe gorgogliando il mosto;

Accorre il vinajuol tardi solerte
     Nel chiuso loco, e dall’afror percosso
     In ebbrezza mortal giù piomba inerte:


Così lo sdegno mio spumante e rosso
     Sfrenasi dal mio petto, e fulminato
     Primo ne andrà chi più si tien colosso!

O di neri avvoltoj stormo malnato,
     Che dell’umanità stolida a’ danni
     Fra l’are di Gesù vegli in agguato;

O di folli ignori e di tiranni
     Imbestiata genía, che treschi e razzi
     E a te gloria procacci, al mondo affanni;

Geldra rea, che in mio nome i ferri aguzzi,
     E leggi ordendo, anzi vendette, impregni
     D’odio la vita, e le mie nari appuzzi;

Stuol venale d’eroi, che i torvi ingegni
     Abbandonando alla ragion dell’armi,
     Ire, rapine e fratricidj insegni;

Scribi che in prose abjette, in turpi carmi
     Schernite a prezzo Aristide e Catone
     Per votare a Tersite onor di marmi,

Ecco, irrompe su voi la mia ragione,
     E tra le mèssi all’opra altrui rapite
     Gira in cerchio ed avventa il suo tizzone!

Ecco, scendo tra voi, torme aborrite:
     Al passo mio, che nella notte romba,
     Tentennan come canne aule e meschite;

Ecco, già scocca la siderea fromba,
     E sossoprando le terraquee grotte,
     Da l’uno all’altro polo apre una tomba.

Scatena i flutti il mar simili a frotte
     D’ippopótami urlanti, e nel vorace
     Gorgo le razze e i continenti inghiotte;

Ma vinto anch’ei da la solar fornace,
     Fervendo sfuma; e tu per l’universa
     Vacuità cercando invan la pace,

Fatta pomice, o terra, andrai dispersa!»


METAMORFOSE


I.


     La castellana, che ne’ rosei giorni
Brama fu di monarchi e di poeti,
Modestamente, in un campestre asilo,
Quasi ignara di sè, l’ore trascorre.
Qual meteora cangiò di quell’altera
Beltà, di quell’accesa indole i modi,
Le sembianze, gli affetti? A le pupille
Estasíate da la sua presenza
Visíone d’amore ella parea,
Quando a’ teatri sfolgoranti, o stesa
Ne la biga stemmata, in molli pose.
Di subite fragranze e di presaghi
Fascini l’aure e i cor trepidi empía.
Nella freddezza del natío paese
Era la sua beltà raggio di sole,
Che dissuggelli il pian nevoso ed apra
Alle aspettanti violette il seno.
Chi più brune mirò seriche chiome
Sopra una fronte della sua più pura?
Chi più neri, imperanti occhi in più bianco
Volto adombrar più tragici misteri?
Era ne la sua voce un’armonia
D’anime, un’eco d’altre sfere; nella
Soavità del suo pallor, nel vago
Ondeggiamento della sua persona,

E in quello sfoggio oríental di veli,
Di broccati, di gemme, onde godea,
Panneggiarsi abbagliando, una sibilla
Detta l’avresti dal pensiero emersa
Dell’Alighieri e dal Vecellio pinta.
La miravan le donne, e il dispettoso
Occhio torcendo agl’incantati amanti,
In maligni susurri, in moti atroci
Agitavan ghignando il labbro adunco.
Ma il giovinetto, a cui fervida urgea
La pubertà ne le fiorenti membra:
Chi è, dicea con tramutata voce,
Costei, che dentro a me tutta precipita,
E la mente mi fura, e a sè dintorno
In fiammeggianti vortici l’avvolge!
Si ritraeano i vecchi al suo passaggio
Sospirosi, in disparte: al chiaro vampo
Di quella vista, onde ogni cosa arden.
Guizzar sentíano insolite faville,
Correr sentíano tiepide carezze
Nel tardo sangue; ed agognavan, muti:
Così, quando l’autunno, all’ultim’ora,
Fra le torbide nubi il sole occhieggia,
Tosto un roseo vapore, un tepor lene
Circonfonde le cose, ed un richiamo
Di primavera i tristi alberi illude.