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E per muover la rilla agl’impotenti
Ci hai spolverato certi aromi turchi,
14Che chi ne assaggia un po’ corre al pitale.
XIII
A UNA DI QUELLE
Te non Apolline amator fervido
Incalza: il lauro di Dafne, incolume
Pianta a’ poeti sacra,
4Ben ripugna all’inconscio tuo core.
Te sozzo un fauno, cui spira putida
Peste dall’orrido naso, te all’inguine
Ben mutonato, ond’ardi,
8Brancicando protervo soppone.
O fresco, eburneo petto, che indocile
Prorompi, o floride membra, cui Danae,
Amor di Giove, uguali
12Da natura non ebbe, or voi serra
Sussultando, ispido caprone: il terreo
Ceffo dilatasi; fa greppo il pendulo
Labbro; negli occhi loschi
16Fra ree cispe raggrumasi il pianto,
Cui spreme Venere canina; pugnano
Le reni, attorconsi le braccia; fetidi
Scoccano come flati
20D’atro ventre, a te sopra i suoi baci;
Mentre nel nitido collo si affiggono
Con bava lubrica le zanne. Languida
Gli occhi fallaci intanto
24Tu stravolgi, affogando in un mare
D’empia libidine; nè vedi, misera,
Che sotto agli aliti ferini, mutasi,
Qual per canto di maga,
28Il tuo corpo, il tuo corpo divino.
Disfatte guazzano sul ventre tumido
Le mamme; flaccide le lacche cascano;
Rosseggian gli occhi; roca
32Qual presagio d’infausta cornacchia,
Nel gozzo intricasi la voce; intignano
Le chiome, aggrinzansi le guance; spiombano
Su gl’incrostati denti,
36Come enormi burischi, le labbra.
E tale, inconscia, civetti. Misera,
Qual di donne avido soldato o nauta
Verrà a cercarti? Ride
40Giovin sempre dall’etere Apollo.