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Non io giù dai lucenti
Regni, ove Iddio languisce
Fra l’essenze impotenti,
E nell’ozio basisce
La Fè grulla, con trepido
Labbro dirò che sei
Scesa a parlar degli angioli,
Che annojano con l’arpe uomini e Dei.
Te, della terra figlia
Fra quante il Sol ne veda,
Te la storpia famiglia
Dell’empireo non leda;
Te non tocchi la stupida
Fiaba, che in detti vieti
Lusinga il volgo, e scivola
Dal chitarrin dei vergini poeti.
Donna, non dea, gli alteri
Petti inchinar tu godi;
Tu fra’ rosei e leggeri
Diti le fila annodi,
Le fila occulte e magiche
Da cui deboli e forti
Pendono insani, e aspettano
Dal tuo vario piacer varie le sorti.