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Forse remote da quest’aure impure
Hanno l’anime in te gaudio perenne:
Occhio eterno del ciel, potessi io pure
A te drizzar le penne;
E, scosso il peso del natio dolore,
Per cui vivo quaggiù stanca e delusa,
Circonfondermi anch’io del tuo splendore,
Essere in te confusa! —
E con l’arcana melodia, che ignora
Sol nel mondo l’abjetta alma e la rea,
Così a la giovinetta anima allora
Il bianco astro dicea:
— Solo, al pari di te, per questa eterna
Solitudine io vo’ nel ciel disperso;
Nè la vita mi giova e la superna
Luce che intorno io verso.
Ah, non sai tu, ch’ogni creata cosa,
Come provvide il ciel, sente e favella?
C’ha linguaggio d’amor l’astro e la rosa,
La brina e la procella?