lingua con vera unzione; la qual cosa, per altro, non toglieva ch’io m’attaccassi di furto alle sacre ampolline, mangiassi le ostie a manciate e partecipassi al caffè con la cioccolata che si dava in sacristia per le quarantore. E il primo componimento poetico, che al mio maestro paresse degno del cedro, fu appunto di genere sacro, un’ode a Sant’Agata vergine e martire catanese, un’ode numero uno, in grazia della quale io spero, quando che sia, di avere aperte le braccia e accordate le grazie spirituali dalla mia santa patrona. Non dirò che il mio maestro non ci avesse messo lo zampino; ma la sostanza, e che sostanza! era tutta roba mia; s’immagini: cominciavo dalla caducità della bellezza muliebre, paragonata con ardire novissimo al fior che sorge ed appassisce; celebravo i serti immarcescibili dei beati; e finivo con un fervorino alla santa, a cui raccomandavo la protezione e la libertà della patria! Erano i tempi felici, che la libertà era perfino bandita dal duetto dei Puritani: figurarsi gli occhiacci del R. Revisore, quando lesse i miei versi! Mandò a chiamarmi all’Intendenza, dove allora troneggiava terribile il Panebianco. A mio padre, uomo onestissimo e paurosissimo, vennero i brividi della febbre, e voleva impedir lo mio fatale andare; ma io compreso tutto della mia alta missione d’apostolo, colla testa piena delle Mie Prigioni, acquetai mio padre, uscii di casa con un pretesto, e corsi ad affrontare il pericolo, non senza prima vagheggiare l’ombra del mio corpo, la quale, per essere il sole ancor basso, parvemi avesse tutte le proporzioni richieste per mettermi a tu per tu co’ tiranni ed af-