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cani che siete tutti: per mia regola, da che paese vieni tu? dalla Siberia, dal Giappone, dall’inferno? Non alzi mai gli occhi agli angoli delle contrade, dove per tanto tempo ho fatto affiggere avvisi sterminati? Non mi sono fatto annunziare tre volte sulla Gazzetta? Non ne parlarono diffusamente varii fogli periodici, fra i quali il Crepuscolo che è il migliore di Lombardia? Ma che sai di crepuscolo tu, così immerso nelle tenebre perpetue da essere ancora al bujo su quel mio bellissimo libretto?”

Cari amici, parliamo un momento da senno. Che non leggiate nessun libro, nemmeno i più inutili, è cosa naturale; e quasi quasi, a dirvelo in confidenza, sono anch’io del vostro parere. Che ignoriate perfino l’apparizione de’ miei, pazienza ancora: ma di ciò, per quanto io lo sospetti, non voglio esser fatto certo da voi medesimi. Dunque veniamo a patti. Quelle rare volte che ci incontriamo per le strade di Milano, a buoni conti per prima cosa congratulatevi del mio ultimo opuscolo, e ditemi che è la cosa più bella e felice che sia escita dalla mia penna. Si può fare di meno per consolare un galantuomo che si pasce e si mantiene grasso di queste piccole vanità? E io in ricambio vi prometto di non farvi la menoma dimanda che vi ponga in pericolo di dovermi dire in che lingua sia il libro, o se tratti piuttosto della luna che dei ravanelli. Oh, me ne guarderò bene, perchè dall’aneddoto che sono per raccontarvi ho imparato a mie spese quanto sieno compromettenti siffatte indiscretezze.

Un giorno (storia vecchia di almeno quindici anni) incon-