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Ma, fosse pur quello il peggiore dei libretti esciti dalla mia fabrica, sono io forse un uomo così dappoco, cioè così scarso di cordiali e attivi nemici, da non ottenere almeno per l’ultima volta un lauto spaccio dell’opuscolo in forza delle loro denigrazioni? Potendolo appena, oh come avrebbero gridato alla miseria della mia produzione! con che gioja e sollecitudine avrebbero interessato tutto il mondo a leggere e verificare la deplorabile decadenza delle mie facoltà! Ma essi non fiatarono nè credettero il caso da farmi fuoco addosso. Ciò prova che quei versi valevano almeno il loro prezzo. Oh, i nemici se ne intendono, e il loro mestiere di nemici lo fanno bene e a tempo opportuno: e io li stimo tanto, che ho pensato di procurarmene dei nuovi colla poesia presente.
Dunque sono gli amici svogliati e accidiosi coi quali io devo pigliarmela, e ai quali voglio dar notizie di casa mia. Figuratevi che varii di costoro, e tutti birboni pieni d’ingegno (io non conosco che brava gente), giunsero all’incredibile enormità di ignorare perfino l’esistenza del mio ultimo capolavoro. E proprio una mattina che io era passato dal mio tipografo a invelenirmi l’anima per la fiaccona della statistica libraria, mi capita l’incontro d’un Tizio che tra il severo e l’affettuoso mi dice: “Ma come va questa storia, che ti ostini da tanti anni a non darci più un verso milanese? è un torto imperdonabile, perchè quello era il tuo vero genere. — Ah mostro sacrilego e scomunicato! sei dunque anche tu di quelli che dopo otto mesi non sanno ancora nulla del Pill? — Che cosa è questo Pill? - È un cane, o