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andò con dodici mila fanti e sei mila cinquecento cavalli, secondo i computi del Gejier , verso Erfurth, ove si congedò dalla moglie, e procedendo poscia quasi in trionfo tra popolazioni che in ginocchio gli rendevano grazie per quanto aveva operato in pro della libertà civile e religiosa della Germania, come scrisse lo Schiller, giunse sotto Neuburg, della qual città s’impadronì. Approfittando poi opportunamente, come in un opuscolo che citammo notava Raimondo, dell’assenza di Pappenheim, andato ad espugnare Halle in Sassonia (ove dicemmo essere stato Raimondo prigioniero), piombò sopra Wallenstein che da Merseburg s’era trasferito a Lützen: e fu là che ebbe luogo quella memorabile battaglia, il 16 novembre del 1632, la quale in sostanza andò perduta per gl’imperiali, dappoiché dieci o dodici mila de’ loro lasciarono sul campo, in cattiva condizione rimanendo i due terzi dell’esercito, per usar le parole dello Spanheim; le quali concordano con quelle dello Schiller, che disse quasi non essere rimasti soldati validi al Wallenstein allorché egli fuggiva. Lo storico Mailàth attenuò assai, come pare, le perdite dell’esercito di lui, allorché scrisse dieci mila essere stati fra tutti i morti e i feriti, metà de’ quali svedesi. Fu però la battaglia ben diretta dal Wallenstein, anche allora che gli acuti dolori della podagra l’obbligarono a smontare da cavallo, quantunque avesse le staffe fasciate di seta, e a farsi portare in lettiga, restando poi esso leggermente ferito: Prodigi di valore vi fece Piccolomini, ch’ebbe sei cavalli uccisi sotto di sé, e riportò egli stesso cinque ferite: si distinsero eziandio Colloredo e il marchese di Grana , pur esso ferito, che perciò ebbe da Wallenstein un donativo di 4094 fiorini, come narra il Förster. E a costoro il Priorato aggiunge Galasso, che il Gejier asserì invece non essere arrivato in tempo a prender parte alla battaglia. Con suo danno, finalmente, vi giunse il Pappenheim, che per ferro nemico gloriosamente finì