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dire ad ordini, che utili sembrando nel gabinetto del principe, tali potevano non essere sui campi di battaglia. Aveva egli perciò voluto esporre la persona propria alle conseguenze di quell’atto audace, anziché mettersi a pericolo di far cosa che arrecasse danno alla causa imperiale. Senonché alla credibilità di questo racconto del Pepe sta contro quanto avemmo a narrare dell’abbandono per comando imperiale dell’assedio di Saverne, e dell’indugiato passaggio del Reno. Né Montecuccoli era uomo da privarsi, per un danno ipotetico, degli avvisi che gli potevano giungere da Vienna, esponendosi anche al pericolo di continuare la guerra, quando per via diplomatica fosse stata o con un armistizio sospesa, o troncata con la pace. Da quella grande impresa militare si ritrasse il Montecuccoli col fermo proposito di non più intraprenderne altra, la cresciuta età e la mal ferma salute a ciò consigliandolo. Scriveva infatti sino dal 3 di ottobre il suo parente più volte nominato: “Il conte Montecuccoli è risoluto di chiudere con questa, che è la cinquantesima sua campagna, la sua carriera”. E questo s’avrà ad intendere, secondo stimo, nel senso che erano 50 anni ch’ei travagliavasi, con alquante interruzioni, in guerra; giacché le campagne fatte da lui, computando ciascuna di esse dall’aprirsi delle medesime sino al loro termine se brevi, o, se protratte, sino ai riposi invernali, e tenendo conto di quelle in un medesimo anno fatte in diversi paesi, sarebbero 41, se fece, come credo, le due ancora di Slesia nel 1627, e quella di Alsazia del 1633 (il che non mi è noto) secondo l’elenco che in nota produrremo . Chiese Raimondo stesso con una lunga lettera all’imperatore di poter definitivamente abbandonare il servizio at-