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Dissero i nemici del general cesareo, che non fu merito di lui se Turenna rimase ucciso: senza dubbio non l’affrontò egli armata mano, ma fu ben esso che lo trasse a Sassbach, che le posizioni migliori occupò, che assegnò il luogo a quelle artiglierie dalle quali ebbe morte quel gran capitano; e sempre fu ascritta a gloria del comandante di un esercito in faccia al nemico ogni ben riescita impresa del medesimo, vie più se preparata dalla previdenza e dal senno di lui. E disse appunto Rotteck, a colui spettare la vittoria, che sapientemente dispose il modo di conseguirla . Ma se non si peritaron gl’invidi della gloria conseguita dal Montecuccoli in tutta questa impresa di cercar modo di contrastargliela, scrittori in buon numero, così di storia come di arte militare, levarono a cielo la virtù di un capitano, degno (per dirlo col francese Folard) di venir opposto a Cesare, e che lo fu onorevolmente a Turenna.

Federico II, nel suo poema sull’arte della guerra, cantò poi con entusiasmo del salvatore della Germania nella sua lotta colla Francia, che tenne in sospeso la fortuna tra sé e Turenna: e all’ammirazione dei giovani guerrieri proponeva le marce, gli accampamenti, il continuo mutarsi d’uno in altro luogo di quel gran capitano, che contenne i francesi, e le difese loro affrontò . Ci fa difetto per venti giorni il carteggio che tanto ci tornò utile del padre Carlantonio, che forse, dopo la morte di Turenna, andò a Vienna con qualche incarico di Raimondo; e prima eraci venuto meno quello del conte Dragoni, il quale nell’ultima sua lettera del 16 di giugno, annunziava aver ottenuto, mercé il Montecuccoli, di servire il duca d’Annover in Danimarca. E quel Montecuccoli sarà senz’altro il gesuita, che più tempo col principe Luigi d’Este dimorò alla corte di quel duca.

Il general Raimondo che, lungamente essendo stato in campo contro gli Svedesi, avea veduto come la morte de’ loro capi-